“Infinitamente piccoli, così apparentemente indifesi, quasi spaventati ancor prima di mostrarsi in tutta la loro essenza. Così speciali ed incomprensibilmente distinti, diversi l’uno dall’altro , eppure tutti puntualmente uguali, sospesi nel tempo e nello spazio.
Alcuni non li conosceremo mai…
Noi possiamo ucciderli o viverli, siamo capaci di sognarli e desiderarli.
Siamo talmente stupidi e scettici che non consideriamo che essi ci guardano, ci ascoltano e, perché no, ci aspettano.
Sono come le stelle, che ci spiano e ci fissano…
Continuano, nel loro moto incessante, ad attendere e vivono con noi, piccoli e numerosi.
Nel viaggio della vita, tra progetti, sogni, difficoltà, persone, paure e desideri…si può imparare ad amarli tutti, indistintamente.
Io li amo perché, inconfutabilmente, mi appartengono e sono tutti miei, sono parte di me!
Quanti ne ho persi e quanti ne ho buttati.
Purtroppo alcuni li rimpiango, ma non posso tornare indietro…
Eccoli qua! Sono davanti, dietro e intorno a me… loro, che mi hanno insegnato ad amare.
Sono proprio loro, i piccoli attimi di vita, i preziosi Istanti del Tempo!
Tempo, loro grande alleato, che cammina e avanza con il suo incedere elegante senza arrestarsi mai e conduce in avanti la vita, offrendoci costantemente nuove opportunità.”

Lavì si era svegliata presto quel giorno.
Aveva fatto un sogno…era certa di aver sognato qualcosa che era svanito dalla sua mente non appena aveva aperto gli occhi. Rammentava qualcosa di buono, ma dal sapore indefinito e con un retrogusto preoccupante.
Pensava alle sue figlie, che probabilmente ancora dormivano.
Cercava di ricostruire le immagini che, velocissime, stavano svanendo dalla sua mente.
Cosa rammentava di quel tuffo nella dimensione onirica ? O stava ancora sognando?

La luce entrava prepotente nella sua camera da letto.
Si poteva quasi percepire il calore del sole sulla pelle.
Lavì voleva alzarsi, ma non riusciva a tirarsi su.
Il colore azzurro del soffitto della sua stanza, illuminato dai raggi, si confondeva con il cielo terso, che si scorgeva dalle finestre. E poi quel blu pareva scontrarsi con il verde della collina.
Il suo sguardo si perdeva tra quei colori.
Era lì, ancora stesa sul letto, girata al rovescio, poggiava le lunghe gambe contro la parete.
Fissava il suo blu. Quella tinta era imprigionata, come lei, tra soffitto e cielo, tra chiuso e aperto, tra realtà e sogno, tra vita e memoria.
Voleva gridare, ma non le usciva la voce.
Si sentiva felice, ma qualcosa la opprimeva.
Voleva irradiare la sua energia a tutti e poi, di colpo, la sua testa si riempiva di pensieri…
Quella mattina credeva fosse quella giusta, pensava di essere pronta a parlare alle sue figlie.
Era arrivato il momento di dire loro la verità.
La sua stellina, le sue bambine…desiderava infondere in loro tutta la sua esperienza, illudendosi di renderle “piccole sagge”, pensando di poterle proteggere, risparmiando loro, forse, un po’ di dolore.
Le voleva preservare da qualsiasi minaccia, pur sapendo che ciò non era possibile.
Le aveva donate al mondo il giorno della loro nascita, ma le avrebbe protette per sempre.
D ’un tratto fu assalita dalla paura.
Lavì sentiva di essere preoccupata per loro, voleva fare la scelta giusta, voleva iniziare a raccontare, ma non cominciava. Pensava al loro futuro.
Si sentiva letteralmente spaccata a metà.
Nel preciso istante in cui credette di tenere nel pugno della mano tutta la sua energia , avvertì la paura di aver perso la bussola.
Quella mattina Lavì non decollava. Il sole che splendeva non le bastava.
Provò a concentrarsi in quel silenzio assordante.
Riusciva a sentire solo il battito del suo cuore e il suono del suo dolore.
Si chiedeva quale fosse la forma più sublime del dolore? Forse la follia?
Dolore che conduceva verso luoghi pericolosi e follia che faceva perdere completamente l’orientamento…
Eppure nella follia ci poteva essere la ragione e nel fondamento di ogni essenza c’era un che di irrazionale.
La sua anima tormentata volava verso spazi illimitati , mentre il corpo la tratteneva con i piedi piantati al suolo.
Voleva salvare le sue figlie…
Non le piaceva sentirsi paralizzata. Quell’emozione stava sostando troppo in lei, ma capì che non riusciva a contrastarla, allora la assecondò.
Prese carta e penna e iniziò a scrivere.

A voi due.
A te, Nena. A te, Toà :

“ Vola nel cielo della tua anima, plana libera nei tuoi pensieri e nella tua immensità.
Sogna e ama i tuoi sogni, non temere ciò che ti circonda.
Niente ti può schiacciare, niente può tarparti le ali o soffocare i tuoi pensieri, niente può farti del male…non avere mai paura del niente, ma rispettalo.
Pensa alla tua vita e alla tua essenza, alle tue gioie e ai tuoi dolori, non li dimenticare.
Loro, insieme al tuo Io saranno fedeli compagni della tua esistenza.
Pensa alla notte e al giorno, alla luce e al buio, alla felicità e al dolore, pensa all’una e all’altro.
Vivi e conosci ogni colore delle tue giornate e non perderne una sola sfumatura.
Ama l’istinto e la ragione, lasciali vivere l’uno a fianco dell’altra, domali e affidati a loro.
Chiudi gli occhi ed esprimi un desiderio. Ora riaprili e guardati intorno.
Osserva tutto ciò che è bello, puro, è essenziale, ma guarda anche ciò che è brutto, sporco, inutile.
Cerca sempre di conoscerti e non lasciarti conoscere, se non ne vale la pena.
Ama e fatti amare.
Dona e accetta ciò che gli altri ti vogliono offrire.
Ridi, piangi, prega.
Amati, ama l’amore, tutta l’immensità che ti circonda e ama la Vita. “

Suonò la sveglia, le sei e trenta di un buon lunedì che profumava di caffè, lavoro, scuola e vita!
Lavì, si alzò dal letto e scese giù per le scale. Andò a svegliare le ragazze.
Scostò le porte delle loro camere, che erano socchiuse.
Toà dormiva profondamente. Nena iniziava a svegliarsi.
Lì era custodito tutto il suo universo…
L’eco del sogno avrebbe continuato a vagabondare nella sua testa…per poi spiccare il volo.