Inizio con il dire che adoro la voce al microfono.

Quando le vocali fanno la corte alle consonanti, ecco il miracolo del suono che diventa parola. In uno studio radiofonico mi sento viva. E’ un’esperienza catartica, simile alla seduta psicoanalitica. Parlare al microfono è come liberare la propria anima sul lettino di Freud.  La voce esce dalla gola e ritorna in cuffia, picchiettando il cervello.

 

Alla nascita siamo tutti dei piccoli maestri d’orchestra. I vagiti dei neonati  sono così potenti da toccare note altissime.  Del resto noi siamo ciò che diciamo, ma soprattutto come lo diciamo. Siamo la nostra voce. Le vocali sono gli strumenti naturali e le consonanti sono le percussioni che suonano il nostro canto libero. Ho iniziato con un corso di dizione tanti anni fa. La memoria torna ai miei vent’anni. La mia insegnante era una speaker della Rai. 

 

 

Facevo i miei primi vocalizzi a casa di Lisetta Lironi. Un piccolo appartamento, al secondo piano di una grigia palazzina romana affacciata su Piazzale Clodio.  A un passo dal Vaticano. Mi ricordo interi pomeriggi scanditi dagli esercizi  vocali e dalla respirazione.  E Lisetta, donna dal piglio energico,  mi ripeteva :” Puoi anche sbagliare una vocale aperta. Al diavolo la dizione perfetta, ma la cantilena no, mi raccomando! E respira dal petto, non dalla gola”. Aveva una voce impastata di fumo.

Ricordo posaceneri colmi di mozziconi di sigaretta in un ambiente pieno di vecchi libri, straripante di cultura. Sui testi di Natalia Ginzburg ho allenato la mia voce per lunghi pomeriggi. Ripensandoci Lisetta Lironi  assomigliava alla Ginzburg proprio per quel modo di “essere donna, spesso dolente ma brusco e pratico di stare nella vita”, così scriveva Italo Calvino della scrittrice. Così era la signora Lironi, durante  quelle lontane lezioni di fonetica giovanile. Ne conservo un’immagine nitida, ben ancorata nei miei ricordi buoni. I suoi consigli  mi hanno, poi, aiutato e salvato in tante occasioni nella mia vita. 

Fino a un altro incontro significativo con Orazio Coclite. Lui è  il commentatore degli eventi papali, il grande interprete dei testi della Via Crucis del venerdì santo, insomma, la voce del Papa. Un maestro generoso per me e una figura affettiva importante nella mia vita. Tornando al potere dellavoce, la sua è  capace di riempire gli spazi vuoti del Colosseo. Chi lo segue da anni, lo sa bene. La sua voce è un poderoso abbraccio in mezzo alla folla. Anche da lui ho imparato tanti trucchi vocali, come evitare uno starnuto durante una diretta oppure le preziose tecniche di riscaldamento delle corde vocali.

 

 

Se ripenso alle nostre  registrazioni negli studi della Radio Vaticana, un sorriso si poggia sulle mie labbra. Orazio ha  un innato senso dell’umorismo e la battuta arguta. Il tempo di lavoro con lui è  anche un piacevole intrattenimento.  Se mi chiedo quanto fiato userò ancora per dirgli grazie con tutto il cuore, mi tornano in mente le sue parole :”Appoggia sul fiato ma nel modo giusto. Respira e darai ampiezza, corpo al suono”. Che a Natale, poi, dalla voce di Orazio, ha questa intensità.