Per quanto intorno a noi ci sia una realtà ben definita, ciascuno di noi la costruisce continuamente attribuendole significati assolutamente personali.

Pensiamo ad esempio a due persone che ripensano alla serata appena trascorsa insieme: una delle due potrebbe pensare Ieri sera mi sono davvero divertito, il posto era magnifico e c’era dell’ottima musica in quel locale! mentre l’altro potrebbe pensare Che serata noiosa … sì, posto magnifico ma musica troppo lenta”.

Stesse situazioni, stessi eventi, possono suscitare emozioni diverse in ogni persona, soprattutto quando ci sono degli elementi che si agganciano a vissuti piacevoli o spiacevoli (es. se la persona che si è divertita ha festeggiato in quel posto un evento importante per lei e ne ha un buon ricordo, l’emozione positiva vissuta sarà maggiore). La stessa dinamica avviene anche in quella classica situazione in cui andiamo al cinema per vedere quei film tanto sponsorizzati: ad alcuni piaceranno molto, ad altri non piaceranno per nulla.

 A proposito di ciò, Watzlawick afferma che una realtà è oggettiva, esterna (la serata, il film, ecc) e un’altra è il risultato delle nostre opinioni sul mondo, del nostro vissuto, quindi decisamente soggettiva.

 Nello specifico,  se pensiamo ad esempio alle parole che usiamo più spesso, a quelle che racchiudono i nostri valori più importanti“Felicità, amore, fedeltà, sincerità, trasparenza, fiducia, ecc”. Quando il nostro interlocutore utilizza questi termini, siamo quasi sempre noi ad attribuirgli un significato  il nostro! Come facciamo a sapere che il suo concetto di “amore” ad esempio, sia uguale al nostro? A meno che non sia stato da lui già esplicitato, quello che stiamo facendo è interpretare.  

Se volessimo realmente sapere a cosa l’altro si sta riferendo, potremmo porgli una domanda specifica, e cioè: cosa intendi specificatamente per…?”.

 Solo la risposta del nostro interlocutore può farci davvero comprendere cosa lui intenda con quel termine. Immaginiamo ora le conversazioni che abbiamo ogni giorno e pensiamo a quanto diamo per scontato che i significati che gli altri attribuiscono alle loro parole, siano uguali a nostri. Ci siamo mai chiesti quante incomprensioni scaturiscano da ciò? Pensiamo ad una coppia che litiga perché uno dei due è stato poco rispettoso verso l’altro/a: “Da te pretendo rispetto!”. Ok, ma cosa significa? Cosa dovrebbe fare per portargli/le rispetto?! A meno che il significato del termine non sia già stato chiaramente esplicitato nella conversazione, sarebbe proprio il caso di chiedere “Cosa intendi per rispetto, cosa vorresti che facessi nello specifico?”.

 La risposta che ne deve conseguire deve descrivere dei comportamenti, altrimenti stiamo rimanendo ancora sul vago e sull’indefinito, risolvendo ben poco.

 Le stesse dinamiche avvengono ogni giorno in famiglia, sul lavoro … sì sul lavoro. Soprattutto nel passaggio d’informazioni tra le persone in azienda … quando i messaggi non sono chiari, ecco che si genera confusione, dispersione, perdita di tempo e calo della produttività!

 Ecco perché è importante porre domande specifiche, spesso serve anche ad ottenere le informazioni più dettagliate che ci servono .dunque, questo è quello che Watzlawick intendeva quando diceva che “è la comunicazione a produrre le interazioni patologiche”. Le difficoltà nei rapporti derivano spesso dal pensare che la realtà sia esclusivamente come la percepiamo noi.  Prendere in considerazione l’ipotesi che la realtà sia diversa per ciascuno di noi, e che sia quindi “costruita”, ci permette di calarci nei panni dell’altro e di comprenderne meglio il vissuto, il punto di vista, la sua esperienza. Ecco come nasce l’empatia. Ecco come si ristabilisce l’equilibrio nelle relazioni.