Sulle colline di San Lorenzo di Lerchi, in piena campagna umbra, c’è un podere dove crescono almeno 50 varietà di mele. Uno scrigno della biodiversità di nome “Archeologia Arborea” che ha sede in una chiesa sconsacrata dell’anno Mille. L’archeologa delle piante e degli alberi da frutto è l’agronoma Isabella Dalla Ragione. In questo frutteto immerso nell’Alta Valle del Tevere, negli ultimi quarant’anni, è riuscita a riprodurre un patrimonio di 600 piante da frutto di 150 varietà. Taglia rametti e innesta gemme dopo lunghe passeggiate tra terre e orti abbandonati, la consultazione di polverosi manuali latini di agricoltura, le chiacchierate con i contadini. Porta avanti con passione un lavoro di ricerca, di studio, di recupero e di conservazione. Attraverso la scoperta di coltivazioni dimenticate la Dalla Ragione riporta in vita le usanze delle antiche comunità rurali. Riaffiorano tradizioni e sapori lontani anche attraverso l’arte che è un archivio prezioso. Nella tela di Melanzio, il frutto dipinto dall’allievo del Pinturicchio, viene confuso dai critici con una pera, a causa della sua forma allungata.
In realtà si tratta di una mela Muso di Bue che viene coltivata proprio nel frutteto di Archeologia Arborea. La mela della favola di Biancaneve è invece una Sona /Batocchia, rossa e croccante che suona quando la stacchi dal ramo e prende il nome da¬l batocchio della campana. C’è poi la mela Agostina, la Limoncella, la Renetta del Cardinale, la Mela Pera. Pare che tra i mecenati del podere ci sia anche l’attore francese Gerard Depardieu che ha adottato l’albero della Pera ‘mbriaca, dalla polpa zuccherina e rossa come se fosse imbevuta di vino. Anche i conventi dei monaci benedettini, per la Dalla Ragione, sono custodi a cielo aperto di piante sconosciute. L’Umbria, terra di San Francesco e San Benedetto è anche terra benedetta da Dio per i suoi raccolti. Dal Novecento a oggi è cresciuto il consumo di frutta in Italia. Dalle 8000 qualità del passato si è passati però a 2000, di cui 1500 sono a rischio di estinzione.
Un fenomeno che si spiega con i cambiamenti climatici ma anche con gli esperimenti futuristici in laboratorio di quei genetisti agronomi che portano sulle nostre tavole specie nuove ma sempre più deboli. Di colore brillante, croccanti al palato e prodotte in gran quantità. Tre requisiti che non bastano però a farle durare nel tempo. Eppure basterebbe rispettare le piante per imparare da loro una grande lezione di resilienza e generosità. Non si limitano a sopravvivere ma sono fonte di vita, polposa e scarlatta, come quella protetta dalla buccia dell’antichissima Rossa di Acqualagna. Una mela dall’incarnato carminio all’interno, che viene premiata per le sue grandi proprietà antiossidanti e che la Dalla Ragione protegge nel suo giardino, un paradiso di alberi e frutti perduti a cui il regista Yung Chang ha persino dedicato un film dal titolo emblematico: ”The Fruit Hunters”, i cacciatori di frutti, -io aggiungerei-, del mondo che è stato e la cui memoria dovremmo impegnarci a far germogliare ancora.