È difficile credere che Banana Yoshimoto sia una fan del regista Dario Argento. Eppure è così. La scrittrice giapponese, maestra di tanta grazia nel raccontare un mondo familiare disgregato e di mille solitudini, adora i colori e le immagini forti del genio del brivido. Lo ha dichiarato proprio lei, appassionata anche di un altro cineasta italiano, il garbato e ironico Nanni Moretti. E la scrittura della Yoshimoto sembra fondere, in una dimensione onirica, la sofferenza attraverso un registro narrativo delicatamente comico, lievemente tragicomico. In quasi tutti i suoi libri emerge quel senso di “natsukashisa”, di nostalgia per quello che è il tempo vissuto per superare il dolore. È così evidente nel libro “Il dolce domani”, scritto in memoria delle 20 mila vittime del maremoto di Fukushima, che colpì il nord del Giappone nel marzo 2011. La tragedia di allora si confonde con quella di oggi, su cui incombe lo spettro del virus che in Giappone ha causato 1297 morti e quasi 69.000 contagi. La pandemia nel Sol Levante è stata però meglio gestita che in altri Paesi, grazie soprattutto all’indiscusso senso di coscienza civica collettiva e a quel senso di ordine e disciplina che sono tipici del popolo giapponese.

Torniamo al libro “Il dolce domani”. La storia racconta il difficile percorso di rinascita di Sayoko, la protagonista, che perde il proprio compagno in un terribile incidente. La Yoshimoto sviluppa il concetto dell’anima persa. La sofferenza detta scelte folli, assurde ma rivela anche inaspettati incontri che portano luce e speranza.
Come le visioni di Sayoko che la trasformano in una yuta, una specie di sciamana capace di vedere quell’invisibile, che si svela con poetica grazia.
Le storie della Yoshimoto, attingono alla forza espressiva del manga. Genere tanto familiare all’autrice, che ha anche una sorella disegnatrice di fumetti, la brava Haruno Yoiko.
In quella che definirei la grande opera sensoriale della Yoshimoto, la protagonista è sempre una donna che con arrendevole pazienza, abbraccia il suo destino e lo abbraccia umilmente. Un concetto molto cristiano. Solo questo processo porterà al superamento del trauma, all’elaborazione del lutto, della perdita.

Ne “Il dolce domani” l’autrice scrive: “Ci vuole tempo per accettare tutto ciò, devo occuparmene senza fretta”. Questo ci protegge dalla smania di voler conoscere il futuro e ci obbliga a resistere affinchè ogni istante duri di più. Il “Dolce domani” è un canto alla vita, alla sua sacralità che in questa modernità viene sempre più spesso meno. Non so se la Yoshimoto vincerà mai il Nobel per la letteratura, (un’aspirazione tra l’altro da lei stessa confessata); certo è che dal suo esordio nel 1988 con “Kitchen”, libro dopo libro la scrittrice ci mostra il fluire dell’esistenza con le sue cadute, i suoi bui e le sue improvvise resurrezioni. Quello che conta è vivere, essere vivi per sentire il profumo dei ramoscelli di ciliegio, per vedere l’ocra del tramonto e sentire l’oggi. Perchè “l’oggi è l’oggi”, nella sua intensità e nella sua forza. Scrive la Yoshimoto: “Il fatto di vivere è così straordinario, che non facciamo altro che piangere”. E questo è un virus che continua purtroppo ad attraversare i secoli.