Se l’inferno fosse un’immagine, sarebbe la smorfia di dolore che ha preso tutta la mia faccia una settimana fa. Un dolore così viscerale che sembrava venir fuori dallo stomaco. Immaginate che qualcosa strizzi la vostra carne, proprio come si fa con una spugna sotto la doccia. Il tempo di quella contrazione è veloce ma fendente come un punteruolo. Un attimo di respiro e poi la morsa riprende con quel dolore, che preannuncia il buio. L’inferno per me è stato una colica di fegato. Prima di allora, non sapevo neanche cosa fosse la cistifellea e quanto questo piccolo organo, sotto il fegato, sia in grado di farci digerire la vita. Un gioco di parole per dire che la cistifellea o colecisti, (doppio nome blasonato, tanto per sottolinearne l’importanza), fa in modo che la bile prodotta dal fegato sia in grado di digerire i grassi che ingeriamo con il cibo. Grazie a un vecchio amico del mio papà, riesco a prenotare una visita d’urgenza in una clinica privata. Ma le cose si complicano. Scopro di avere la febbre alta.
In clinica non si entra con la febbre e comunque dovrei fare anche un tampone. Necessario nulla osta per varcare la soglia della struttura ed essere curata. L’amico di famiglia è un noto gastroenterologo e riesco a fare il tampone a casa. Mi bussa alla porta un omino con un grosso borsone sulle spalle. La mascherina sul viso e guanti di lattice. Sono rimasta un po’ perplessa. Mi sarei aspettata un marziano vestito di bianco invece il ligio infermiere tira fuori dalla sua borsa un bastoncino. Sembra una bacchetta magica. Un oracolo 2020 sul mio prossimo futuro. Almeno sulle prossime 48 ore. L’operatore lascia scivolare il bastoncino nella narice e il gioco è fatto. Il tampone viene portato in laboratorio per essere processato. In poche ore il verdetto arriva: negativa anzi “negativissima”: 0,37. Da 1 si è positivi. Entro nella clinica e mi viene fatta subito un’ecografia all’addome, una risonanza e gli esami del sangue. I globuli bianchi stanno ingrossando le fila. Sono altissimi. La birilubina è alle stelle, cioè quel valore del sangue che è un campanello di allarme sullo stato di salute del fegato. Il mio inizia a lamentarsi. Non ci sono dubbi: ho una colecistite acuta e il liquido biliare è già in circolo. Bisogna operare subito ma in clinica non c’è posto. Grazie al mio medico benefattore mi trovano una stanza. “Lei è raccomandata!” mi dice il Dott. Casellano, che farà l’intervento in laparascopia.
La mia pancia verrà gonfiata e incisa in 3 punti per consentire a una sonda di far luce nell’addome e al chirurgo di usare gli strumenti, che rimuoveranno la cistifellea. La battuta del dottore mi colpisce e non riesco a trattenere il fastidio. Lui mi spiega che per il Covid tutti gli interventi di colecisti sono bloccati. In ospedale e in clinica ci si arriva solo quando le cose muovono al peggio. Scendo in sala operatoria alle 19.00. Vedo l’anestesista agitato. “Lei prende cardioaspirina?”, mi chiede. Rispondo che non prendo cardioaspirina ma per digerire faccio uso di aspirina effervescente… un uso eccessivo e da troppo tempo. Mi dice che l’aspirina non fa digerire. Ripeto che lo so ma per qualche strano motivo l’acido acetilsalicilico, cioè il principio attivo dell’aspirina mi fa questo effetto. Negli ultimi tempi non digerivo più nulla. Ero sempre stanchissima e lamentavo continui dolori addominali. “Dalle sue analisi abbiamo riscontrato qualche problema di coagulazione, fa una pausa, senza contare che l’aspirina buca lo stomaco”, mi risponde stizzito il dottore. Mi adagiano sul lettino operatorio. Sono calma. Succede sempre così,: sono una persona ansiosa nella vita, ma solo per le cose che non contano. E’ uno strano meccanismo di sopravvivenza a me stessa. Nelle difficoltà reali sono zen. E’ come se mi venisse naturale nuotare in mare aperto e in tempesta. Mi viene iniettato qualcosa in vena. Mi stordisce un po’ ma resto vigile allora sempre l’anestesista mi dice: “Faccia un bel pensiero e poi dormirà!”. Nella mia mente affiora l’immagine di Khalù, il mio cane nero, il mio fedele amico che ora è sul ponte dell’arcobaleno. In un certo senso credo che lui sia il mio vero angelo custode. Nella sua assenza sento la sua presenza. Non so cosa sia successo nelle 3 ore successive. Un intervento alla colecisti non infiammata dura almeno 40 minuti. Qualcosa è andato storto e ha reso difficile il lavoro dell’équipe medica. Il tempo si è dilatato per chi aspettava a casa. Mio marito, i miei familiari non sono potuti entrare nella clinica. Una restrizione dettata dal rigido protocollo Covid. Quando riapro gli occhi, ho una sensazione sgradevolissima.
Non riesco a parlare. La mia voce è un rantolo impastato. Penso al mio lavoro alla tv. E mi assale il panico. “La mia voce?”, mi sforzo. Sento tirare le corde vocali, un dolore impreciso che prende tutta la gola. Il chirurgo mi dice che la mia è un’afonia temporanea, causata dall’intubazione. Sono stata intubata? Non capisco. Perchè? Mi portano in stanza. Riesco a telefonare a mio marito e poi mi abbandono a un sonno profondo. L’indomani, al mio risveglio, mi ritrovo attaccata alla flebo, piena di cannule sul braccio e un drenaggio nella pancia. Sola nella stanza. Senza una faccia amica. E’ questo il vero dramma di un ricovero in questo tempo Covid. Mi spiegano che il liquido biliale era già in circolo. L’infezione già in corso. Dovevano continuare a tenermi sedata. La mia vita nelle mani di altri nel mio stare sospesa. Per tre ore viva ma incosciente. Dormiente, inconsapevole quindi indifesa. Il chirurgo che mi ha operato mi ripete che la mia cistifellea era piena di calcoli. E poi l’assurda scoperta di non riuscire a coagulare durante l’operazione.
“Signora, lei ha rischiato un’emorragia interna. E’ stata un’irresponsabile. Butti nella pattumiera l’aspirina”. Mi sono vergognata tantissimo. Ho voluto raccontare la mia storia. Chiedere pubblicamente scusa ai medici, a mio marito, alla mia famiglia, a me stessa e soprattutto al Padreterno. Volersi bene significa tenere alla propria salute. Prendersene cura nei giorni di lacrime e di risate. Averne cura, quando c’è il sole e sotto la pioggia. Se avete problemi gravi di digestione, se avete crampi, dolori allo stomaco, consultate un medico. E la cosa più importante: non abusate mai di farmaci, in particolare dell’aspirina…come ho fatto invece io. L’aspirina è un potente antinfiammatorio, ma va trattato con rispetto. Non deve essere demonizzato ma usato nel modo giusto. Sono stata fortunata, perchè qualcuno dal ponte dell’arcobaleno, i medici, la congiuntura astrale hanno voluto che io oggi fossi qui per raccontarvelo. E a questa buona stella non sarò mai grata abbastanza! Vi lascio con alcune immagini divertenti. La vera saggezza sta proprio nella capacità di alleggerire il cuore con una sana risata, attenti a non svuotare mai la testa, delle lezioni più importanti che la vita ti dà ogni giorno.