“A Natale puoi…” si dice. Invito che colgo al volo per demolire la patina di buonismo che urta il nervo a laici e devoti con un po’di discernimento (per quel che ne è rimasto!). Ecco allora che mi viene in mente Alessandro Robecchi, scrittore di gialli e uno degli autori del team Fratelli di Crozza.
Cinico ma romantico, addendi da poter scambiare di posto perché tanto non mutano la sua capacità di afferrare (o graffiare?) la realtà. Soprattutto quella di un anno bisesto con pandemia, miracolo di San Gennaro “caput”, politica allo sbando etc etc etc.

Tre, come sempre, le domande anche se ne avrei un quintale:
Viste le premesse, inizierei con un Tanti cari auguri! Scommetto che quest’anno la realtà ha superato l’immaginazione che di solito mette nei suoi romanzi…
R.- Beh, mi associo agli auguri, direi che ne abbiamo bisogno. E poi sì, certo, nemmeno il più immaginifico dei veggenti avrebbe potuto prevedere quello che è successo, e che sta succedendo. Però io non amo questa contrapposizione tra realtà e immaginazione. Quello che c’è nei buoni libri è un impasto delle due cose: storie di fantasia che servono per raccontare quello che ci circonda, le vite degli altri e – magari involontariamente – le nostre. Insomma, credo che chi scriverà storie ambientate nel presente dovrà tenere conto di quello che è successo, perché dovrà descrivere una società che è cambiata, che sta cambiando.

Tutti contro tutti e tutto l’opposto di tutto, veri e propri “Tempi Nuovi” (titolo di un suo libro. L’ultimo invece è “I Cerchi nell’acqua”, sempre Sellerio…) o ricorsi storici?
R.- Non ho creduto nemmeno per un secondo all’autoillusione del “ne usciremo migliori”, e credo che il virus abbia accentuato le differenze, le ingiustizie e le diseguaglianze. Ma sì, sono tempi nuovi: nessuno si vergogna più del suo cinismo, ne fa una questione di sopravvivenza. E al tempo stesso sono nuove anche le piccole cose. La frase “come stai?”, che era praticamente una frase idiomatica di saluto, ora è diventata una domanda seria. Come stai? Tutto bene? Stai attento? E forse questo stare vicino a una casualità della malattia e della morte – può succedere anche a me – relativizza molte cose. E’ un memento mori quotidiano, scandito dai telegiornali, dai numeri, dalle statistiche, quindi si, sono tempi nuovi, ma la reazione è quella dei tempi vecchi: il più forte mangia il più debole, la giustizia sociale arranca.

Non le chiederò l’esegesi di un presepe laico che pare vada di moda, né quale testa (hoops!) vorrebbe trovare sotto l’albero. Mi accontento di un augurio non troppo gaio ma neppure apocalittico.
R.- Il presepe laico che vedo è la quotidiana sfilata di pastorelli in tivù. Virologi, dottori, scienziati, i soliti pupazzi politici, i soliti commentatori. Meglio quello con l’asinello vero, a questo punto. E le teste… ahahah, posso usarle come palline per l’albero? Ma visto che siamo agli auguri, ecco: ci meritiamo anni più giusti. Saranno difficili per vari motivi, come una lunga risalita astiosa e ripida, ma sarebbe bello che la pendenza fosse uguale per tutti, come dire… “a ognuno per i suoi bisogni, da ognuno secondo le sue possibilità”, che mi sembra un augurio di lungo respiro, sempre valido.