Le donne iraniane scendono in piazza, bruciano l’hijab in segno di lutto per la morte di Masha Amini, la 22enne curda, arrestata dalla polizia morale perché mal velata.
Dalla stanza dell’albergo di Nanchino dove sto facendo la quarantena (misura obbligatoria per entrare in Cina) il mio mondo è a diecimila chilometri da qui. In questo spazio sospeso, la routine sono i tamponi, mentre una porta allarmata separa me e mio marito dalla vita reale.
Ma le notizie bucano il muro dell’internet cinese. Fuori c’è la guerra in Ucraina, la decisione di Putin di richiamare alle armi i riservisti, c’è il conto alla rovescia per le elezioni italiane e ci sono anche le attuali proteste in Iran. Dopo la morte di Mahsa Amini, la giovane di minoranza curda arrestata dalla polizia morale il 13 settembre a Teheran poiché non indossava correttamente il velo, le donne iraniane si tolgono l’hijab, lo bruciano e si tagliano i capelli. Sono in lutto e protestano contro il regime ultraconservatore del Presidente Raisi. Amo l’Iran, ci sono stata due volte e penso ai tanti amici che vivono in questa terra di storia e fascino millenari.
Il 15 agosto scorso il governo approva un decreto particolarmente restrittivo sul codice di abbigliamento femminile. Un documento di 119 pagine intitolato “Progetto Hijab e castità” che prescrive nuove norme di controllo tra cui telecamere di sorveglianza per monitorare e multare le donne senza velo e impartire loro lezioni di moralità, reclutando seminaristi, fino al carcere per chi trasgredisce. Dopo la morte di Masha Amini, le donne iraniane sono scese in piazza. Da giorni prendono la testa dei cortei e sfidano il pugno di ferro della polizia, accusata di aver picchiato a morte la giovane durante la custodia.
Mentre le autorità parlano di uno sfortunato incidente e dicono che la ragazza sia morta per un infarto, alcuni testimoni, in forma anonima, hanno raccontato che Masha era stata picchiata brutalmente, colpita più volte con forza alla testa. In questo stato, in coma, era arrivata in ospedale. Con la sua morte, le proteste infiammano la capitale e una ventina di altre città iraniane. Università, bazar, stazioni della metropolitana diventano il cuore delle manifestazioni che portano all’arresto centinaia di persone e ai primi morti. La reazione del governo è dura: blocca tra l’altro Instagram e WhatsApp. Mentre la magistratura iraniana annuncia la creazione di una commissione d’inchiesta sulla morte di Amini, l’hashtag persiano #MashaAmini raggiunge 3 milioni di menzioni su Twitter.
Isegretidimatilde si unisce al popolo iraniano. Il mio pensiero va alle donne iraniane, coraggiose, resilienti che, provate da mille limitazioni, oggi alzano la voce. Qualcuno ha paragonato la morte di Masha a quella di George Floyd, una vicenda a cui in Iran era stata data molta rilevanza mediatica per screditare gli Usa. In questi giorni gli hijab dati alle fiamme sono un’immagine potente. Mentre circolano voci sulla salute del leader supremo, Alì Khamenei, 83enne che da poco è stato operato, continua la mobilitazione in tutto il Paese. Lo slogan che tutti recitano, le nuove generazioni, le donne in primo piano ma anche tanti uomini che si sono uniti è: “Giustizia, libertà, Hijab volontario”. Sarà abolita la polizia morale o ridimensionata? Il regime terrà conto del malcontento visto anche il difficile momento storico che sta attraversando l’Iran, devastato dalla pandemia, con un’economia stritolata dall’inflazione, dalle vecchie sanzioni americane e dall’inasprimento di una politica teocratica ultraconservatrice che rappresenta un salto decisamente all’indietro rispetto alla precedente linea riformista del presidente Rohani? Masha è diventata il simbolo di un bisogno radicale di cambiamento spinto dalle donne. Masha in realtà si chiamava Jina, che significa “donna” in curdo.
Ma al momento di registrarla all’anagrafe, il funzionario del regime, come in tanti altri casi, si era rifiutato e aveva imposto la sostituzione del nome curdo con quello di Masha. Oggi sono proprio le donne in nome di questa giovane, picchiata a morte dalla polizia, a chiedere giustizia mentre l’attuale presidente Raisi parla proprio di diritti umani alle Nazioni Unite, ma allo stesso tempo oscura internet per impedire al mondo di vedere cosa accade a Teheran. Ma le notizie sono così forti che arrivano ovunque, persino nel mio isolamento, nella mia silenziosa stanza d’albergo di Nanchino. Il mio cuore va a Teheran, città dei monti Elburz, va al profumo del pane piatto preparato nei forni di pietra, all’ospitalità dei miei amici, al cuore della gente iraniana, “persiana”, alla forza e alla vitalità delle donne che rappresentano il 70% degli iscritti all’università, al loro coraggio che getta un ponte di speranza sul futuro!