Dieci anni fa, da poco arrivata in questa mia meravigliosa citta’, feci la fila, come tanti, per vedere il primo film di “Sex and the city”, dopo aver divorato (e ancora divoro) tutte le serie andate in onda in televisione.
Il riassunto del film, per chi (o mio dio) non lo avesse visto e’: Carrie (la teenager sentimentale), si mette un vestito bianco e un uccello sulla testa e va a sposare il suo Mr Big (classico uomo che merita di essere condannato a 20 anni di educazione sentimentale) che pero’, giustamente, la molla sulle scale della biblioteca e scappa.
Allora Carrie, va in Messico con le tre amiche fidate e Samantha (il mio idolo) la imbocca come un uccellino, alla faccia di quelli che “per avere senso materno devi avere i figli”. Charlotte intanto, punita per il suo razzismo contro i messicani, si fa la cacca addosso (letteralmente) proprio sotto gli occhi delle amiche. Poi Charlotte rimane incinta (cosa che era super improbabile) e ha tanta paura di perdere il bimbo. Cosi, Carrie le regala un minuto di saggezza che vale tutto il film: “tesoro – le dice, mentre lei confessa di essere terrorizzata dalla sua felicita’ – quest’anno ti sei fatta la cacca addosso, credo che tu abbia gia’ dato”.
Ecco, questa scena mi e’ tornata in mente qualche giorno fa, in un giovedi di quelli che solitamente trovano posto nel calendario della mia vita solo perche’ danno l’avvio al weekend. In quel giovedi, invece, in maniera assolutamente inaspettata e imprevista, ho ricevuto tre notizie straordinarie – di cui due relative al mio lavoro – che mi hanno causato un attacco di panico.
In particolare, sono stata sopraffatta dalla raccolta che 52 amici hanno fatto, in un tempo record di 5 giorni, per ricomprarmi la bicicletta che mi era stata rubata. Questi 52 esseri straordinari hanno raccolto una cifra che bastera’ quasi per un motorino e ogni volta che lo dico mi si appannano gli occhi e il cuore fa un mambo come se fosse Sofia Loren in “Pane amore e…”.
E ho scoperto che la felicita’, cosi tanta e improvvisa puo’ terrorizzare, puo’ togliere il fiato. Perche’ basta guardarsi intorno per vedere infinito dolore e sentirsi colpevoli e, quindi, aver paura di essere immeritevoli. Ed e’ allora che “SATC” e’ venuto in mio soccorso, con la sua quotidiana saggezza, cosi poco poetica, eppur straordinaria. Ho pensato, in un paio di minuti agli ultimi tre anni: ho perso mio zio, come un padre per me; uno dei miei migliori amici, di cancro; un compagno che amavo; due lavori che avevo desiderato e fatto con passione; la stabilita’ economica; mia madre, la mia roccia; Dorothy, l’amore della mia mi vita. Eppure, ho continuato, con il cuore masticato e sputato via come una cicca vecchia, a parlare di felicita’.
E ho capito che non dovevo sentirmi in colpa, nessuno deve sentirsi in colpa per la felicita’, se non hai mai smesso di cercarla. E io non ho smesso. Anche piegata in due. Anche con la faccia nella cacca, appunto. Non ho smesso mai e con successo perche’ l’ultimo ricordo di mio zio e’ quello di un pollice alzato e un sorriso mentre uscivo dall’ospedale; l’ultima parola di Michael per me e’ stata “you are so cute”; l’ultima immagine di “lui” sulla porta sono i suoi occhi chiari velati di lacrime; l’ultimo dono di mia madre e’ stato dirmi “ti voglio bene”; l’ultimo respiro di Dorothy e’ stato respirato con i miei polmoni.
No, non ho mai smesso di cercare la felicita’. Anche se mi fa paura. Piu’ del dolore. Perche’ il dolore se lo perdi, e’ sollievo. La felicita’ se la perdi, ti annienta.
Le cose importanti, pero’, non si perdono mai. Bisogna solo sapere che sono importanti. Come la liberta’ per Peter Pan. Come il suo volo. Ed ogni nostro volo che ci rende umani.