Il primo pensiero che avvolge la mia testa, come un soffice foulard di seta, mentre scrivo, e’ che, parlare di attacco e difesa, con l’esclusione della nazionale maschile di calcio dai Mondiali ancora ferita aperta, e’ una coincidenza alquanto particolare.
Io, pero’, non credo alle coincidenze. O, meglio, ci credo, ma sono certa che siano sempre frutto di combinazioni perfette, di situazioni che avvengono fuori dal nostro controllo e che rappresentano, spesso, anche dei simboli che, se colti, servono a illuminarci la strada che stiamo percorrendo quando le ombre si addensano.
Eppure il calcio, che amo, al di la’ di alcuni eccessi inaccettabili del tifo che esulano totalmente dal gesto sportivo, mi offre lo spunto perfetto e essenziale per questo pensiero che in se’ e’ talmente semplice da sembrarmi quasi irrisoria la necessita’ di spiegarlo.
Nel calcio ci sono due azioni principali: l’attacco e la difesa. La Svezia ha vinto difendendosi, ricordandoci che non sempre l’attacco e’ la migliore tattica, soprattutto se fa acqua da tutte le parti. In piu’, per fare la storia di una partita non bisogna essere per forza Diego Armando Maradona; si puo’ essere un difensore “Pallone d’Oro” come Fabio Cannavaro e costruire l’azione decisiva per una vittoria mondiale.
Lo stesso De Rossi, chiamato a riscaldarsi negli ultimi minuti della sciagurata partita, ha urlato “ma dobbiamo vincere, mica pareggiare”, ricordando a tutti che anche la scelta dell’attaccante fa la differenza: se hai un asso come Insigne, non giochi altre carte.
Tutto cio’, pero’, in un mondo banalmente normale e simmetrico. Come quello che piacerebbe a Hercule Poirot che, guardando la Nazionale di Ventura, sarebbe morto di enfisema polmonare.
Questa considerazione calcistica, mi torna utile, dunque, perche’, da giorni, come un allenatore di seconda serie, che ha nelle mani la possibile promozione della squadra in A, mi trovo costretta a ribadire, prima di tutto a me stessa, la differenza fra attacco e difesa.
A differenza del calcio, infatti, che dovrebbe mantenere sempre il suo valore intrinseco di sportivita’ “prima di tutto”, nella vita quotidiana, spesso, si attacca senza avere un minimo senso di decenza o correttezza. Ci sta. Un mondo pieno di mammolette o diviso fra buoni e cattivi come si faceva a scuola, sarebbe di una noia mortale. Perche’ i cattivi, innanzitutto possono non essere cattivi sempre e poi possono essere simpatici, o cattivi ma generosi o cattivi ma intelligenti o cattivi, ma solo perche’ “sono gli altri che li disegnano cosi”, come avrebbe detto la meravigliosa Jessica Rabbit. Dunque, gli attacchi anti sportivi e ingiusti, sono come il pane fresco con la mortadella: fa ingrassare, ma che sarebbe la vita senza.
Quando e se, pero’, questi attacchi diventano un modo di vivere per alcuni e rischiano di farti perdere la qualificazione ai mondiali della pazienza e dello stile, allora bisogna mettere in campo una difesa d’oro: che va da Cannavaro a Maldini con tutto il meglio del calcio mondiale da Wim Suurbier a Paul Breitner, e difendersi, difendersi, difendersi. E se tu cominci a difenderti da campione, rimbalzando i colpi, assorbendo le gomitate, i calci negli stinchi, i colpi bassi e persino quello sputo in faccia che l’arbitro finge di non vedere, allora arrivi finanche sotto porta e, grazie a un calcio d’angolo, puoi segnare, staccandoti da terra, come fossi capitan Cannavaro.
E, allora, qualcuno dira’ che anche tu stai attaccando, che poi quel colpo di tacco era un tentativo di sgambetto e che le braccia usate per accelerare la corsa fossero gomitate vaganti. Ogni moviola, pero’, dimostrera’ il contrario. Ti stavi solo difendendo per non perdere, ma quando lo fai da campione, rischi di passare per un attaccante. E segnare. Perche’, come avrebbe detto Boskov “partita finisce quando arbitro fischia”.