Ho fatto quattro chiacchiere con Emilia Palladino, docente di Etica della condizione femminile e della famiglia all’Università Gregoriana di Roma. Volevo sapere qualcosa sullo “stato di salute” delle donne europee. Mi ha risposto con dolcezza risoluta e una schiettezza disarmante. Ecco cosa mi ha detto:
“Non sono malate terminali ma non stanno nemmeno troppo bene. Sicuramente, noi donne abbiamo conquistato spazi che 50 o 60 anni fa non erano nemmeno pensabili. Tuttavia, il fatto di aver ottenuto queste conquiste non ha garantito quel cambio culturale che ci consentirebbe di essere veramente libere”.
Ancora colpa della società maschilista?
“Lasciando per un momento da parte questo aspetto, vedo che da parte delle donne stesse non c’è un unico sentire riguardo al nostro “stato di salute”. In parte ne siamo responsabili”
In che misura dipende da noi?
“ E’ come se dessimo per scontato una serie di questioni . Dal punto di vista culturale manteniamo ancora in piedi dei vecchi costrutti che ci sono stati affibbiati dalla storia e da una mentalità patriarcale. Il peggiore è quello di sempre: una visione della sottomissione all’uomo ormai superata.”
Intende dire che ci costruiamo una prigione su misura?
“La libertà nasce dal conoscere profondamente se stesse e in questo, credo, le donne sono un po’ indietro . Invece di lavorare per conoscere i propri desideri, le proprie qualità, trasferiscono la colpa della propria situazione altrove, fuori si sé. Per imparare a dire anche dei no, è necessario porsi in una situazione di libertà. Solo conoscendo chi sei e quello che profondamente vuoi, puoi scegliere non perché subisci, ma perche lo decidi, lo vuoi. In poche parole, impari a scegliere in modo autonomo e in ogni campo”.
Un libro che vuole consigliare?
Sto pensando ad un libro che è stato molto criticato ma che, secondo me, aiuta a capire quanto una madre sia, prima di tutto, una persona, una donna vera, fatta di carne e di dubbi, di gioie e di coraggio. E’ il libro-indagine Pentirsi di essere madri, della sociologa Orna Donath. Solo attraverso la conoscenza, quindi, si arriva a definire se stessi e, di conseguenza, una relazione.
E’ un libro duro…
“Sì, è una sfida perché per la prima volta fa emergere il drammatico rimpianto di essere diventate madri, un argomento di cui una madre, appunto, non può parlare. Certo, la scrittrice prende in esame un caso limite, ma questo libro ha il pregio di spiegare benissimo quanto sia importante che le donne, prima di tutto, siano considerate per quello che sono e non come occupatrici di una determinata funzione familiare, sociale o pubblica che sia. Solo attraverso la conoscenza, quindi, si arriva a definire se stessi e, di conseguenza, a creare relazioni autentiche”.