Nena si fece trovare pronta per andare a dormire, sapeva che era la serata della favola della buonanotte, quella in cui la mamma si infilava con lei sotto le coperte e le raccontava una storia in cui fondeva dolci memorie e fantasia.
Come da rituale si mise a letto, la testina affondata nel cuscino e Lavì, al suo fianco, iniziò a raccontare:
“ C’era una volta una bambina chiamata Sandy e una terra profumata, piena di colori, di fiori e di animali.
Era nata lì, in quel piccolo paesino in collina, vicino al mare, dove le morbide curve di quella terra baciano le nuvole basse, ma non arrivano mai fino al cielo.
La bimba venne alla luce in una fredda notte di febbraio, nella camera da letto.
La sua mamma fu assistita dalla levatrice e dalla nonna.
Dove guardava la Luna quella notte e quante stelle c’erano nel cielo a vegliare su di lei? Nessuno seppe mai rispondere. Si parlò solo di un’esplosione d’amore nell’universo e di una profonda gioia in quella famiglia.
Così Sandy venne al mondo. Sola in un mondo di soli, alla ricerca della sua bellezza, ricca di amore e con un destino già scritto.
La bambina amava le sue serate estive, quelle in cui le stelle brillavano al punto che sembrava si potessero toccare, mentre il sole affogava nel mare, la notte iniziava a calare sopra i tetti e le rondini volavano velocissime per tornare ai loro nidi.
Quella casa in collina aveva un piccolo balcone da cui si vedeva l’orizzonte e Sandy puntuale, ogni sera, restava incantata a guardare il tramonto.
Quella bellezza la attraeva, quella magia che si ripeteva le sembrava un messaggio che la natura le mandava.
Quello era il suo mondo incantato.
Dopo cena aspettava di uscire per raggiungere il suo luogo preferito, nei pressi del bosco dove c’erano le sue adorate lucciole che si rincorrevano nell’aria.
Le pareva un posto surreale, che irradiava magia e mistero.
Sandy sognava e fantasticava, si sentiva una principessa. Inventava racconti sulle magiche creature che lo abitavano e che inviavano quegli insettini luminosi nei sogni d’oro dei bambini.
La purezza di un bambino è magia, stupore, incanto e investe l’anima di dolci emozioni.
Questo succedeva tanti anni fa.
I periodi più belli della sua infanzia la rimandavano all’estate, stagione in cui la piccola trascorreva la maggior parte del tempo con i suoi amati nonni.
Tutto diventava un’avventura ed ogni giorno era una scoperta.
Amava addormentarsi vicino alla nonna che le raccontava di un magico castello, di quando quel piccolo paesino era un regno pieno di dame e cortigiani, di arti e di mestieri.
Sandy conosceva tutti i vicoli di quel reame, sapeva chi c’era dietro ogni porta socchiusa. Poteva chiudere gli occhi e orientarsi tra gli odori che emanavano le strade, i portoncini e le botteghe.
In prossimità della salita che portava alla Torre dell’ Orologio arrivava al suo naso, acre e pungente, l’odore del vino, di una bevanda giovane e colorata che avrebbe rallegrato e scaldato i lunghi e freddi inverni.
Poco più avanti, da destra, giungeva un aroma di legno misto a resina. Era profumo di pino che sprigionava note aromatiche e che faceva volare con un po’ di fantasia sino in montagna, magari una piccola baita. Quella era la bottega del falegname.
Continuando a camminare per quel vicoletto si arrivava nei pressi della trattoria con la grande terrazza che dava sulla vallata, da cui si poteva scorgere il mare. Allora le sue narici erano solleticate dal buon profumo del pane e del pomodoro, della carne sulla brace e del tartufo.
E poi, ancora, la distilleria e la piccola apoteca dove la vecchina che ci lavorava pareva una strega che distribuiva pozioni ed elisir.
Sandy continuava a camminare fino a raggiungere il grande bosco.
Il suo maestoso ingresso, alla luce del sole, si mostrava in tutta la sua nudità ed aveva un aspetto molto diverso da quello che assumeva la sera, con il buio.
I fitti rami che all’imbrunire la spaventavano, al mattino non erano altro che un groviglio di erbacce e stecchi. Si provava quasi pena per quelle radici che fuoriuscivano dalla terra. Di giorno si mostravano nude e scheletriche, mentre di notte ricordavano possenti funi o intrighi pericolosi in cui si restava impigliati.
Poi salterellando giungeva alla bottega più amata.
Quella del vecchio fabbro, il suo caro nonno.
Per raggiungerla si doveva fare una piccola discesa, fatta di grandi lastroni di pietra, enormi gradini in cui si divertiva a contare i passi e ogni volta il numero non tornava mai.
Si poteva percepire sin dalla strada, prima ancora di entrare il calore del forno e i rintocchi sull’incudine.
Era il posto che amava di più! Restare lì le regalava allegria e stupore.
Alla fine della discesa si arrivava in un piazzale. A destra si trovava la porta d’ingresso più grande, imponente, di legno e ne seguiva una seconda, con due enormi ante battenti.
Sul lato sinistro c’era il grande frutteto, l’orto e ancora siepi e cespugli di fiori selvatici.
Sandy cercava piccoli nidi, caduti dagli alti cipressi o qualche micino vagabondo che aveva trovato riparo in quel luogo romantico.
Vedeva il nonno che forgiava il ferro e quel forno rosso, ardente, che emanava un intenso calore, le faceva pensare ad una grossa bocca spalancata da cui uscivano lingue di fuoco.
Si sentiva attratta da quella magia che osservava quotidianamente.
Lui era il mago, artista di tutti quei riccioli neri, o dorati, di quei cancelli e degli specchi, di cornici, di chiavi e di letti meravigliosi. Lui sapeva trasformare un disegno, gli dava forma, spessore e colore.
Tutta quella bellezza si poteva esprimere con una sola parola, arte.
Arte era la genialità di come si potevano mettere insieme le idee.
Arte era l’opportunità che offriva alla sua mente, alla sua intelligenza e alle sue mani di lavorare insieme in un’armonia perfetta.
Arte era la vista di tutta quella bellezza.”
Nena si mostrava esageratamente seria nell’ascolto di quel racconto … sentiva di non capirlo del tutto, era come se mancasse sempre qualcosa… voleva sapere dove si erano nascosti gli animali del bosco o come Sandy era riuscita a salvare un piccolo rondinino.
Poi fece una domanda a Lavì : “ Mamma, di cosa è fatta la bellezza ? “
La mamma le rispose :
“ La bellezza è fatta di verità e amore, è metà divina e metà umana.
E’ l’arte della perfezione, che ci fa capire quanto sia perfetta l’imperfezione che rende tutti i simili uguali e che al contempo li rende coscienti della propria diversità.
La bellezza sei tu! La bellezza è ciò che riempie il cuore di sentimento e pace.
La bellezza è una visione, un ricordo, un’emozione….
La bellezza camminerà con te se la terrai per mano e la saprai condurre.
Mia piccola Nena, sei curiosa, ma anche molto stanca. E’ ora di dormire.”
Le disse la mamma. Poi aggiunse:
“… Sandy sapeva che il suo mondo non finiva lì. Ma, in quel momento, rappresentava tutto ciò che voleva. Aveva bisogno di rinnovare il sentimento appagante e rassicurante di protezione e leggerezza…
Il suo cuore era giovane e ingenuo, ma lo sentiva battere forte quando si emozionava … si nutriva di tutto ciò che il suo paesino natìo le offriva. E lei gliene era riconoscente…”
Castagneto Carducci, piccolo paesino della Toscana, nel cuore dell’alta Maremma, sito in collina vicino al mare, ha origini antiche risalenti ancor prima dell’anno mille.
Iniziò la sua affermazione storica intorno al 1300.
Meraviglioso borgo medievale, legato alla storia della famiglia Della Gherardesca.
Al nome “Castagneto”, bosco di castagni, ne fu aggiunto un secondo, nel 1900, sostituito, molto presto e definitivamente da “Carducci”, in onore del celebre poeta, Giosuè, che ci abitò per alcuni anni da bambino e il cui padre fu uno degli oppositori principali ai diritti feudali imposti dai Conti della Gherardesca.







