Lo scorso10 maggio. Una pioggia di razzi cade su Tel Aviv. E’ di nuovo un’ escalation di violenza a Gaza ma quello che impressiona maggiormente sono i disordini dentro i confini d’Israele.
Fa paura l’ipotesi di una Milhemet ezrahi, una guerra civile soffiata dalle minoranze estremiste- arabe ed ebraiche nelle cosiddette città israeliane miste.

Come nella città murata di Akko, città portuale nel nord d’Israele in cui viene dato alle fiamme il famoso ristorante di pesce Uri Buri, visto come simbolo di coesistenza per l’allegra brigata che lo rappresenta. Ai fornelli lui, lo chef stellato, il carismatico ebreo proprietario del locale, il vecchio Jeremias, che con la sua lunga barba bianca, assomiglia un po’ a Babbo Natale. E’ considerato come un padre della fratellanza. Il suo braccio destro Ami è musulmano del nord d’Israele e anche il direttore di sala Ahmed è arabo.
Durante la pandemia Jeremias e la sua squadra hanno consegnato centinaia di pasti gratis agli anziani della città: ebrei, arabi e cristiani.

“Non penso alle persone come ebrei, musulmani, religiosi e non religiosi. Definisco le persone per il loro carattere, per il loro cuore, per il bagliore negli occhi”, si esprime così Jeremias e di fronte ai muri inceneriti del suo locale, già pianifica la riapertura entro i prossimi mesi, “perché non si può lasciare che la coesistenza collassi”. Promuove l’idea di una cultura inclusiva in una città multiculturale come Akko, a soli 90 minuti di auto da Tel Aviv, bagnata dal Mediterraneo e con una storia che risale alle Crociate. E dove vivono insieme arabi e israeliani.

Da quasi 20anni Jeremias, passeggiando tra le stradine del mercato arabo di Akko, dice: “Habibi!”, a chiunque incontri. Habibi che in arabo significa “il mio amico”. Habibi, ripeterlo, soprattutto crederci in molti, farà in modo che un giorno, (ci auguriamo), la pace sia possibile.