E’ strano sedere a un tavolo per scrivere, senza che lo sguardo possa, in automatico, insinuarsi lungo la retta dell’ottantaquattresima strada che, dall’angolo della mia visuale, porta veloce fino all’Hudson e poi oltre, fino al New Jersey.

Ora i miei occhi sono pieni di verde di palme e di azzurro di cielo, spesso coperto da nuvole nere e pesanti che scaricano tanta pioggia che sembra voler cancellare ogni traccia di questa bellezza.

 

 

Per lavoro sono a Boca Raton. Una piccola citta’ a Sud della Florida o, come mi piace dire per definirla, “in the middle of nowhere”, nel mezzo del nulla. Qui se non hai l’auto, sei tagliato fuori dal vivere. In casa gli unici rumori che arrivano sono quelli dei picchi e delle rane e di tuoni violenti che squarciano l’ovattato silenzio. Quando passeggi, in strade deserte (sono tutti in auto), passando vicino alle piccole paludi che sono ovunque, ti puo’ capitare di vedere un alligatore sculettare comodamente come se fosse la cosa piu’ normale al mondo. E di notte puoi vedere volpi e coyote e qualche serpente puo’ entrare in casa piu’ facilmente di una zanzara. Ieri – dopo quattro giorni – con un mio amico, sono andata nel centro di questa cittadina, molto carino, molto ricco: la ricchezza ti e’ chiara dai negozi, dalle auto, dalla prevalenza di bianchi che ti ricordano il tipo di America al quale Trump parla durante i suoi comizi. Quando ho visto uno Starbucks mi e’ sembrato di vedere Maradona ai tempi del primo scudetto del Napoli: una cosa alla quale non puoi resistere. Mi sono infilata dentro pere prendere un caffe freddo ed era quasi vuoto, niente fila come a New York e nel tempo impiegato per servirmi il caffe, a Manhattan avrebbero preparato anche 40 panini e 320 frappuccino.

Il primo giorno qui, ho pensato che questo silenzio e questa lentezza mi avrebbero annientata. Se vivessi qui, sono certa, succederebbe.

Io amo New York, come si ama un paio di scarpe che non solo sono bellissime, ma anche comode, e ci puoi correre, ballare; amo New York perche’ non c’e’ silenzio ma puoi trovarlo se lo cerchi; perche’ non ci sono solo “bianchi” ma c’e’ l’umanita’; perche’ non hai bisogno dell’auto e quando sei in auto ti puoi incazzare come se fossi a Napoli; perche’ puoi aver voglia di un sushi alle 3 di notte e lo trovi; perche’ la metropolitana puzza e si schiatta di caldo e di freddo, ma se anche volessi andare nel posto piu’ remoto al mondo, da New York ci arrivi. Io amo New York. Amo le sue giornate che sembrano due. La amo anche quando la detesto per i suoi difetti. La amo come si ama la propria pelle. Anche quando invecchia. Con tutte le sue cicatrici. Io amo New York e la amero’ per sempre.

 

Dopo cinque giorni, pero’, ho temporaneamente smesso di detestare la Florida e ho cominciato a farmi tentare dall’idea del riposo, del respirare, del camminare, ma a passo meno veloce, del girare in bicicletta, ma senza una destinazione, del mettere i pomodori nell’acqua per preparare il pranzo e, intanto, ascoltare musica cubana; dell’alzarmi da questo tavolo e mettere i piedi nell’acqua della piscina mentre il sole mi ricorda le mie estati felici, a Foce Sele, senza tempo, senza orari, senza vestiti, senza scarpe, solo con la nostra meravigliosa gioventu.

 

 

Faccio fatica a riposare. Perche’ il mio ritmo e’ quello di New York. I nostri cuori hanno un battito in piu e i nostri piedi si muovono sempre come se la terra scottasse: con rapidita.

Eppure – da poche ore – sento che riposarmi, rallentare, andare piano e godermi questa bolla che mi avvolge, e’ atto dovuto. Alla mia vita. Ai tormenti. Ai dolori. Alle paure. Alle preoccupazioni. Ai sacrifici. Alle difficolta’ economiche. A quelle montagne che a mani nude da 11 anni con determinazione scalo e supero. Nonostante il sangue. Nonostante la polvere.

 

 

Faccio fatica a riposare. Forse perche’ ho sempre paura di morire troppo presto. Eppure, da qualche ora, ci sto riuscendo. E non e’ niente male.