Oggi vi porto, almeno con il pensiero, in un piccolissimo arcipelago, l’isola più grande misura solo 3 km quadrati, a circa 9 km dalla striscia di terra più a sud del Bangladesh e a 8 dalla costa del Myanmar.
L’isola più grande ha in realtà due nomi, uno in lingua locale, Narikel Jinjira o Isola del cocco, e uno ereditato dai colonialisti britannici che diedero all’isola il nome di uno dei funzionari di stanza a Chittagong, un certo Mr. Martin, e quindi Saint Martin. Al largo, a circa mezz’ora di barca, un’altra isoletta molto piccola chiamata Daruchini Deep (Isola della cannella); all’estremo sud invece una serie di tre piccolissime isole disabitate chiamate Chera Deep (Isole, letteralmente, ‘strappate’) perche’ collegate all’isola principale da un lunga e sottilissima striscia di coralli, su cui si puo’ camminare per muoversi da un’isola all’altra avendo pero’ cura di guardare l’orologio e tenere sott’occhio il movimento delle maree perche’ con l’arrivo dell’alta marea i sassi di corallo vengono sommersi rendendole irragiungibili.
Bisogna essere sempre muniti di un bel po’ di spirito d’avventura quando si visita il Bangladesh e queste isole, per quanto belle, non sono da meno. Ci andai per la prima volta circa 15 anni fa e mi ripromisi di non metterci più piede finchè non avessero creato un collegamento aereo tra Dhaka e Saint Martin. Il volo diretto, per ovvi motivi, non è mai arrivato e non arriverà mai ma in compenso hanno avviato da pochi mesi un collegamento via mare con un traghetto decente evitando così quel tratto di strada collinoso, tutto curve e buche tra Cox’s Bazar, il porto che dà sulla baia del Bengala e Teknaf, un piccolo centro sulla sponda opposta della penisola, lungo il fiume Naf, che segna il confine tra il Bangladesh e il Myanmar, che mi aveva fatto giurare di non tornaci più.
Dopo che svariati controlli su Internet mi avevano convinta che il nuovo traghetto (che vedete nella foto) era veramente ‘decente’, e dopo che uno studente-imprenditore di mio marito ci aveva mandato le foto del nuovo resort che aveva costruito sull’isola invitandoci ad andare, siamo partiti.
E visto che sono qui a raccontarvelo, è andato tutto bene.
Siamo partiti con l’autobus da Dhaka alle 8 di sera, siamo arrivati a Cox’s Bazar, sulla costa alle 6, alle sette partiva il traghetto e dopo cinque ore e mezza di navigazione eravamo già sull’isola; per noi, che viviamo a Dhaka, rinchiusi tra quattro mura di cemento sette giorni su sette, Saint Martin è un piccolo paradiso, non equiparabile certo alle Maldive, soprattutto per servizi e strutture, ma per noi ‘Dhakaites’ che non riusciamo mai a vedere un tramonto, basta e avanza.
Saint Martin è un’isola corallina, tanto bella quanto purtroppo molto delicata. L’arrivo di turisti, infrastrutture, luci, motori delle barche, ecc. ecc. ne mettono a repentaglio la sua stessa sopravvivenza. Il governo del Bangladesh sta cercando in qualche modo di limitare l’afflusso di turisti, imponendo quote di accesso e limitando il numero di traghetti che vi possono attraccare; ma come voi già sapete, i bengalesi non amano seguire le regole e fanno sempre un po’ quello che gli pare e quindi ogni giorno arrivano almeno un migliaio di persone e si costruiscono resort come non ci fosse un domani.
L’isola non ha elettricità, ma ci sono pannelli solari, anche piccolo quanto un quaderno che la gente del posto mette a caricare sotto il sole durante il giorno e generatori di corrente. Internet funziona benissimo con la rete dei cellulari. La zona più sviluppata dell’isola si trova a nord, dove attraccano i traghetti; qui ci sono delle costruzioni in cemento, un commissariato di polizia, un piccolo ospedale anche se il più delle volte non c’è il dottore, un paio di moschee con annesse scuole coraniche. La popolazione locale, circa 3500 anime, vive soprattutto qui. Più a sud le case di cemento sono sostituite da capanne di bamboo, che resistono anche ai monsoni e agli uragani, come ci ha assicurato un pescatore incontrato per caso lungo la costa che nella stagione turistica da ottobre a marzo si trasforma in venditore di cocco, cocomeri e bottiglie d’acqua.
L’isola si può percorrere tutta in bicicletta da nord a sud o da est a ovest; per andare dal nostro resort sulla sponda ovest alla sponda opposta abbiamo pedalato esattamente poco meno di cinque minuti. Per passare da un’isola all’altra invece bisogna prima salire su una barchetta piccola a remi, per poi passare su una piu’ grande a motore. Le barche a motore sarebbero vietate, per i motivi che vi ho accennato prima, ma anche noi, come tutti gli altri, lo abbiamo saputo dopo essere scesi.
La gente vive di pesca e di turismo e durante la stagione dei monsoni, quando sono isolati dalla terra ferma, di quello che hanno messo da parte nei mesi della stagione turistica.
Vi lascio al video di uno dei nostri giretti in bici da un capo all’altro dell’isola e a qualche bel tramonto tropicale.
 
					











