Il virus ha colpito anche l’Africa. Secondo gli esperti dell’Onu, è a rischio catastrofe. E i numeri apocalittici delle morti potrebbero arrivare a 3 milioni. Le misure di contenimento del contagio si scontrano con una realtà di povertà: il 56% della popolazione del continente africano vive nelle baraccopoli, sovraffollate e senza servizi essenziali. Impossibile mantenere il distanziamento sociale e anche il semplice gesto del lavaggio delle mani diventa un problema se non c’è acqua pulita. In Africa si combatte ancora contro ebola, la malaria, la tubercolosi. La diffusione del contagio da Coronavirus, non farebbe che aggravare un sistema sanitario, già fragile.

Sono carenti le terapie intensive, non ci sono posti letto negli ospedali e mancano soprattutto i medici. Per capire cosa sta succedendo, ho raggiunto telefonicamente Rita Caparra a Nairobi, la volontaria italiana, già scampata al tragico attentato, al centro commerciale di Westgate, mall della capitale kenyota, nel settembre 2013. Rita vive metà dell’anno in Kenya, dove lavora come fisioterapista per l’Istituto Missionari della Consolata. Stava per rientrare in Italia, quando la pandemia e la chiusura dei voli, l’hanno costretta a rimanere a Nairobi, dove la situazione è sempre più allarmante. Alla periferia della città, al monito “restate a casa”, fa eco “quale casa?”. Se per casa, si intende poi una stanza nello slum, dove si dorme per terra e stipati in baracche di 3 metri x 4, fino a 7/8 persone. E poi c’è la tragica condizione degli orfani della baraccopoli di Kibera e l’impegno dei tanti missionari che si adoperano per loro. Ce lo racconta Rita, che ha anche una pagina Facebook: Missione in Kenya, il suo diario, di questo tempo Covid-19 in Kenya.

Ringrazio tanto Rita che spero di conoscere presto di persona, a cui va il mio forte abbraccio!



