La bolla olimpica di Pechino è circondata da una Grande Muraglia, fatta di transenne metalliche chiuse da pesanti lucchetti, sbarramenti e divisori che ci separano dal resto della città. Potrei dire che la bolla fa lo zig zag nella vita quotidiana. Sì perchè in realtà sono tante le bolle che danno ospitalità al popolo olimpico: gli alloggi degli atleti, gli alberghi per i giornalisti, il quartiere generale della stampa e gli impianti sportivi sparsi qua e là, come funghi, nella affollata metropoli di oltre 21 milioni di abitanti che si tengono alla lontana.

A dividere la nostra stessa sorte ci sono i volontari reclutati per lo svolgimento dei Giochi olimpici: in tutto 39.000 scelti tra milioni di candidati. Hanno ricevuto una formazione pre- torneo di sei mesi, inclusi allenamento fisico, conoscenza degli eventi, etichetta, nozioni di pronto soccorso e formazione psicologica. La maggioranza di loro ha meno di 35 anni, costituita da studenti universitari. “Sono una delle componenti più importanti di questa edizione olimpica”, commenta il presidente del CIO, Thomas Bach.

I volontari ma anche il personale degli alberghi, gli autisti dei taxi, delle navette, chi lavora nella stazione ferroviaria, anche loro, come noi, vivono nella bolla. Noi torneremo a casa ma loro dovranno fare una quarantena di 21 giorni per tornare a vivere nella loro Cina Covid-zero. Rimarrà in tutti l’esperienza di un’Olimpiade surreale e storica che -ci si augura- possa mettere d’accordo tutti. “Insieme per un futuro condiviso” in cui etica e sostenibilità gareggiano alla pari.

Un’aspirazione per nulla scontata quando il doping continua ad avvelenare lo sport e i suoi talenti più giovani e promettenti come il caso della zarina del pattinaggio, la quindicenne Kamila Valieva, la prima atleta a fare un salto quadruplo ma che è risultata positiva alla presenza di una sostanza vietata. Graziata dal Tribunale arbitrale dello sport di Losanna, solo perchè è minorenne, potrà gareggiare ma se andrà sul podio non ci saranno nè fiori, nè medaglie. E’ questa la decisione del Comitato olimpico internazionale.

Il dito è puntato sul suo team personale (allenatrice, medici e nutrizionisti). Immaginiamo la pressione e il carico psicologico sulla quindicenne che oggi diventa il simbolo dello sport non pulito. Ma a fare da contraltare c’è la storia della nostra Sofia Goggia, che infortunata seriamente a gennaio, è tornata a sfrecciare sulla pista di Yanging, vincendo ieri l’argento olimpico.

Abbiamo lasciato Pechino per raggiungere la città montana scelta per le gare di sci alpino. Questa volta ci siamo spostati in macchina che ha costeggiato un tratto della Grande Muraglia, costruita nei secoli dalle dinastie imperiali cinesi per proteggere il Paese. Anche se da lontano ho intravisto le merlature e le torrette della Muraglia. E’ stato emozionante. Mao Zedong una volta disse: “Non sei un vero eroe se non sali sulla Grande Muraglia”.

Peccato non poter onorare le sue parole a causa della bolla olimpica. Di eroica impresa si può parlare di sicuro per la Goggia. La campionessa bergamasca, a soli 23 giorni dalla brutta caduta, sale sul podio al secondo posto. Incarna il riscatto, la determinazione, la speranza. Vince la gara la svizzera Corinne Suter. È terza però un’altra italiana, Nadia Delago, che è al suo esordio alla manifestazione a cinque cerchi.

Con sua sorella maggiore, Nicol Delago, anche lei in gara ma meno fortunata, sono le promesse della velocità azzurra. “Avere una sorella con la stessa passione è un bel regalo della vita”, ha detto Nicol ai giornalisti. La gioia e l’abbraccio tra le due, ieri alla fine della gara, dà il senso di quella frase. E oltre allo sci, l’altro grande amore delle due sciatrici altoatesine è senz’altro lui: Mika, il bellissimo samoiedo della foto.