Sospesa tra due vite. Sospesa tra due mondi.
È così che si sente Mona, la protagonista del libro della scrittrice iraniana, Nava Ebrahimi, “16 parole”. L’autrice, emigrata in Germania come il suo personaggio femminile, usa il lessico familiare persiano, quelle “16 parole”, per descrivere la sua terra d’origine: l’Iran. Il suo è un romanzo sull’identità, attraverso quelle piccole parole, scritte anche in farsi, che sono vere esplosioni di ricordi.
E con questi, il dolore, i segreti, le libertà negate, i cedimenti e la felicità sono raccontati dalle donne che sono le figure centrali. Mona torna in Iran per il funerale della sua eccentrica nonna, “mamam bozorg”.

I profumi della terra di Persia, le note di tabacco, il fieno greco e i pistacchi la trascinano in un viaggio a ritroso nella storia della sua famiglia: sua madre, data in sposa ancora bambina e suo padre un medico rivoluzionario disilluso, avaro di sentimenti e parole. Mona, ha ereditato quel tipo di riserbo, forse pudore o più propriamente quell’incapacità di fare e dire apertamente che hanno gli iraniani…per sopravvivere. Mona è anche figlia adottiva di quello stile di vita tedesco, lineare, asciutto e senza troppi guizzi. Nel libro vengono fuori le somiglianze e le differenze tra Occidente e Oriente. Mona si sente comunque straniera in quei due mondi. Non è mai veramente a casa.

A Bam, tra le rovine dell’antica città d’argilla distrutta dal terremoto nel 2003, riaffiora l’amore per Ramin, il sentimento che si nutre d’impossibilità, vivo come il vento del deserto, che come arriva, se ne va. Alla fine Mona conoscerà la sua verità che ha il sapore dell’anar, melograno in farsi, che è aspro ma è anche dolce. Mona significa desiderio. E già nel suo nome si nasconde un bisogno di scoperta che si realizza man mano che la storia procede. Il libro della Ebrahimi mi è piaciuto tanto. Ho trovato una narrazione fedele e mai giudicante. Ho trovato l’Iran che ho avuto la fortuna di conoscere ed amare, nonostante le sue contraddizioni e i divieti. Ho trovato l’Iran che ho vissuto insieme alla mia kukur Atine, che oggi per me è una sorella.

C’è l’Iran con la sua cultura millenaria ma anche la storia più recente con la rivoluzione e lo stravolgimento. Nel libro ci sono le donne iraniane: bellissime, forti e vive. La scrittura della Ebrahimi ha la libertà interiore di Forugh Farrakhzad, la più grande poetessa iraniana e la fortezza del drammaturgo tedesco Heinrich Böll, premio nobel per la letteratura. Perchè, come la Ebrahimi scrive: si impara a vivere in uno sciame che passa da un cielo all’altro, dal rosso tramonto di Persia a quello delle torri ingrigite del Duomo di Colonia. Non c’è “char rah”. E siccome non c’è via d’uscita si scopre che quel continuo divenire si nasconde” il desiderio di non arrivare mai”.