Avanzavano a passo svelto, un po’ di corsa, poi rallentavano.
Dovevano tornare a casa, ma il percorso che dal casolare le aveva condotte alla radura, apparentemente breve, si stava rivelando più lungo e articolato del previsto.
Le tre amiche dovevano rincasare prima del tramonto, soprattutto se desideravano riunirsi anche dopo cena.
Correvano. Il Fuoco avanti, seguito da Terra e da Acqua, tutte sospinte dall’Aria.
Recuperarono gli zaini e riattraversando l’ampio stanzone del casolare, Sandy si fermò davanti al portone, aspettò che uscissero le amiche e lo chiuse a chiave, lanciando un ultimo sguardo serio e malinconico.
Le biciclette erano lì che attendevano il ritorno delle tre amazzoni, l’afa del pomeriggio era diminuita, ma faceva ancora molto caldo.
Ripercorrendo il castagneto ebbero la percezione di ritornare piano piano alla realtà, di rimettere i piedi nel mondo reale dove le cicale ancora cantavano all’estate e il tempo non si era fermato, ma era andato talmente avanti che il sole stava per tuffarsi nel mare e il buio stava per sopraggiungere.
Sandy aveva messo al sicuro il foglio con il suo elemento, poi si preoccupò anche del mazzo di chiavi sorelle. Aveva deciso, insieme alle amiche, di lasciarlo lì, nascosto in mezzo al cespuglio di more, sotto una pietra.
In questo modo, ognuna sarebbe stata libera di recarsi alla radura incantata ogni qual volta avesse sentito il bisogno di ascoltare la musica del pianoforte, di respirare quell’aria rassicurante o semplicemente di ritrovare se stessa.
Lo affidarono, insieme al loro segreto, alla natura, che ne era la più legittima custode.

Pedalavano veloci, attraversando impervie scorciatoie per far prima…
Finalmente raggiunsero lo stradone che conduceva alla fonte del paese e da lì, tutto dritto fino a casa.
Dolci memorie affettive, soavi colori del tramonto, quell’avvolgente crepuscolo che infonde pace e il canto delle rondini impazzite d’amore che tornano ai nidi, queste erano le emozioni che guizzavano nel grande e giovane cuore di Sandy.
In lontananza sull’uscio di quella casa con la porta socchiusa e la chiave infilata, sulla poltroncina di legno, Sandy intravedeva il suo adorato nonno seduto fuori a godere dell’aria della sera, a rinfrancarsi dopo una giornata trascorsa nella cocente bottega, lì, puntuale ad aspettare il rientro della sua amata nipote per cenare insieme.
Appena arrivata lo salutò con un bacio e scappò veloce nello sgabuzzino a riporre il grosso mazzo di chiavi, sparito all’insaputa di tutti, ma tornato al suo posto senza che nessuno se ne accorgesse.
Finalmente a tavola.
La mamma osservava impensierita la ragazza.
Sandy era affamata, distratta, silenziosa. Pensava all’acqua, mentre la versava nel bicchiere…
Liquido, solido, forme sconnesse, apparentemente insensate le attraversavano la mente.
Acqua del rubinetto, della fonte, del mare, acqua nella piccola ciotola lasciata su strada per abbeverare i randagi o in quella nel vaso per gli ospiti alati del balconcino.
Avvertiva un richiamo primordiale che quasi la faceva stare male e scalpitare.
Tutti noi… siamo acqua?
Aveva bisogno di chiarezza. Voleva capire, ma cosa esattamente?
Quella sera decise di restare a casa, necessitava di elaborare da sola ciò che aveva visto, ascoltato e provato.
Inventò una scusa, credibile, da dire a quella mamma troppo dominante.
Un po’ di stanchezza e un lieve mal di testa, indiscutibili motivazioni per potersi ritirare indisturbata in camera.
Sapeva di non poter condividere con nessuno quelle emozioni.
Non si sentiva capita, eccetto che dalle sue amiche. Ma quella sera anche loro erano troppo stanche e ubriache di emozioni.
Fuoco e Terra avvertivano lo stesso bisogno di Sandy, restare sole, a riflettere su quell’esperienza.
In quel momento Sandy avrebbe tanto voluto un fratello o una sorella con cui confidarsi, a cui fare domande e raccontare.
Purtroppo la sua amata mamma non possedeva il dono dell’ascolto e dell’introspezione, che invece apparteneva a lei, perciò qualsiasi conversazione doveva galleggiare sulla superficie di quell’acqua e non si poteva scendere in profondità.

Il papà di Sandy era sempre troppo lontano, a lei mancava ogni giorno. Lo pensava e lo aspettava.
La ragazza spesso si rivolgeva al nonno, che, dall’alto dei suoi tanti anni aveva sempre un buon racconto e una parola per lei. Si nutriva dei suoi consigli.
Loro si intendevano così, non avevano bisogno di troppi discorsi.
Era stesa sul letto nella grande camera azzurra e le riecheggiava la magnifica melodia del pianoforte. Sentì un richiamo … il mare.
Pensò ai libri di scuola, a ciò che aveva studiato sui quattro elementi.
Doveva approfondire il significato e la simbologia dell’acqua.
Talete, uno dei primi filosofi, riteneva che fosse l’archè il principio ordinatore del mondo.
L’archè era ritenuta la chiave del cosmo e di ogni esistenza fin dalle origini del pensiero greco e l’elemento primordiale di tutte le cose, principio vitale, inteso come mezzo di rigenerazione.
L’acqua era sorgente di vita, matrice, che sotto forma di liquido amniotico, la preservava e ne dava l’inizio. Quando era pioggia rendeva fertile e feconda la terra.
Acqua che rappresentava il femminile per eccellenza, sempre sottoposta ad un processo di trasformazione, da lì trova la sua vera forza ed energia.
Quella sera Sandy si addormentò molto tardi, aveva sete di conoscenza.
Stava chiedendo qualcosa a sé stessa, si voleva tuffare nel sapere.
Sentiva di dover assecondare la sua natura che la portava ad essere accudente e materna, riflessiva e risoluta. Queste, solo alcune inclinazioni che le avrebbero fatto cavalcare l’onda di una grande esistenza e diventare un faro per tante persone, guardiano di anime simili alla sua.


Per i disegni di Sgredeliuo

Credits
Laura De Santis