Si chiama Giulia Piangatelli e il suo mondo è fatto di colori e di volti. Quelli delle donne.

Il suo mondo sono i colori. Il modo in cui li accosta, li sceglie. Sa giocarci, perché ne conosce i segreti ed è questa sua sapienza a trasparire nei volti delle donne che dipinge, negli abiti e nei gioielli con cui le adorna. Tutte bellissime a modo loro. Uniche. Forti e delicate. Mai uguali. Giulia Piangatelli non riesce a dare un nome “al suo stile” al tratto veloce e preciso con cui dipinge le sue donne, ma se le guardi puoi trovarci tanto. Tutto. Puoi forse anche ritrovare te stessa. In questi giorni ci siamo scritte ed è nato uno scambio, sincero. Un racconto di sé e qualche mia domanda tipo: perché dipingi prevalentemente donne?

Penso che la mia prima fonte d’ispirazione sia stata mia madre, la voglia di disegnare è nata da lei, ho questo ricordo di noi due in campagna, era una domenica e stavamo andando a pranzare in una piccola trattoria, durante l’attesa lei disegnò sopra un pezzo di carta una donna, aveva un abitino fino al ginocchio e indossava delle scarpe con il tacco. Pensai che era meravigliosa, quello era il mio ideale di bellezza, di estetica, e allora iniziai a disegnare, forse col desiderio di raggiungere quella femminilità che per me era la perfezione. Da bambina osservavo mia madre prepararsi per uscire, si ornava di collane, orecchini e bracciali, si truccava, metteva il rossetto con una precisione a me incomprensibile ed infine si spruzzava una nuvola di profumo. Aveva lunghi capelli neri che ai miei occhi la rendevano una dea, vedendo oggi alcune vecchie foto mi ha fatto pensare ad una siciliana dei primi del ‘900. È stata lei a trasmettermi l’amore per la pittura, ho dei bei ricordi di lei che dipinge con in sottofondo la musica di Battiato, erano dei momenti di spensieratezza, mi sentivo attratta ed incuriosita dal suo modo di usare i colori. Soltanto da poco tempo ho iniziato ad apprezzare realmente i suoi lavori e a prendere le sue donne come ispirazione. Oggi la mia ispirazione viene da molto altro, da una passeggiata, dalla visita di un museo, da una chiacchierata e dall’osservare i lavori di altri artisti. Ma alla fine quello che disegno è sempre il volto di una donna, è il mio modo per riprodurre ciò che amo, ma anche ciò che mi spaventa.

Riesci a definire il tuo stile?

Non saprei davvero come definire il mio stile, probabilmente preferirei non definirlo, il mio modo di disegnare e dipingere è molto spontaneo, prendo ispirazione da diverse realtà e non mi pongo domande, per me è un piacere e un divertimento, è fonte di benessere e non so nient’altro.

Dell’uso del colore ne fai quasi una firma. Quei rossi, quelle scelte che hanno il sapore del blu di persia…insomma, li guardi e dici: qui c’è Giulia Piangatelli!

I colori per me sono tutto, sono loro a dare profondità e consistenza, a dare un carattere ed una personalità a queste figure femminili. Durante la mia infanzia ho usato tantissimo i colori, mi piaceva creare delle storie, dei mondi, ed i colori erano fondamentali per dare vita ai personaggi. Passavo molto tempo anche a creare dei vestiti per dei modellini in carta, per me erano delle dame di corte, anche in questo caso i colori erano fondamentali, avevo realizzato intere collezioni che custodivo in delle buste di plastica, erano un segreto per me, non so bene per quale motivo, ma ero molto attenta a non mostrarle a nessuno. Crescendo ho smesso di usare i colori, in particolare quando frequentavo l’istituto d’arte, perché ero terrorizzata all’idea di non saperli usare correttamente, è stato un brutto periodo per me, trovavo terribilmente noioso disegnare vasi vuoti e nature morte, detestavo sentirmi giudicata e vincolata alla scuola; cosi ho smesso di disegnare per molti anni. Oggi il colore è la mia gioia, mi piace andare a dormire la sera immaginando le combinazioni di colori che andrò ad utilizzare per una certa figura, mi piace pasticciare con gli acrilici e sperimentare nuove tecniche.

Sei cosciente che saper dipingere è un dono? Un dono speciale…

Sono cresciuta in una famiglia in cui tutti sapevano fare qualcosa con le loro mani. Mia madre dipingeva, mio padre era un restauratore di mobili antichi e mio fratello suonava il pianoforte. Io mi sentivo un po’ quella senza arte né parte, senza un talento che fosse suo, che fosse autentico. Amavo disegnare e colorare, come la maggior parte dei bambini, per me il disegno era una via di fuga dalla realtà, che troppo spesso non sopportavo. Disegnavo i miei sogni, disegnavo drammi, spiagge, case e paesaggi. Erano il mio mondo parallelo per fuggire dalla noia, non l’ho mai vissuto come un dono, ma come un mezzo per andare avanti. A scuola mi sono spesso sentita sottovalutata, poco motivata nel portare avanti i miei disegni, e alla fine mi sono trovata a studiare altro. Non ho più fatto nulla fino a quando mi sono trasferita a Roma per prendere la magistrale in scienze pedagogiche. Roma è stata una boccata di aria fresca, è stato un po’ come rinascere, molto lentamente, per poi riscoprirmi. Ho iniziato un percorso di psicoterapia, forse l’evento più formativo di tutta la mia vita. Allora ho ripreso dal principio, da ciò che mi piaceva fare, molto banalmente. Complice anche il lockdown ho ripreso ad esercitarmi tutti i giorni nel disegno. Lo facevo per passione, perché mi faceva sentire bene concentrarmi su qualcosa, focalizzare la mia mente verso l’esterno; ho lavorato con costanza, penso che questo sia alla base di una passione, esercitarsi in maniera continuativa senza porsi degli obiettivi rigidi, ma semplicemente per il piacere di farlo, per amore della ripetizione di quei gesti.