Parto dal commento che un giovane capo scout ha rilasciato in un articolo pubblicato qualche tempo fa, durante la Fase 1 di lockdown, su un quotidiano online di Roma Nord:

“In un momento così difficile ognuno fa quel che può. Ci sono molte persone in difficoltà; alcune provano vergogna nel chiedere aiuto, ma noi ci siamo sempre, per tutti.”

Bellissima testimonianza sebbene dalle statistiche si riscontra che gran parte dei giovani non hanno mai fatto esperienza di volontariato e solo una piccola parte di loro ci si dedica abitualmente. Perché? Cosa spinge, allora, ragazzi e ragazze a prestarsi come volontari?

Innanzitutto, occorre partire dal contesto in cui vivono i giovani (famiglia, scuola, tempo libero) e dal loro interesse per ciò che rientra nel sociale e nel servizio. Di seguito, stimoli, predisposizione e sensibilità fanno il resto.

 

 

Ciò che si conosce, grazie anche alla Legge Quadro n°266 del 1991, è che chi svolge attività di volontariato generalmente non percepisce retribuzione e che non opera secondo un normale rapporto di lavoro. In qualche caso si può parlare di rimborsi e di collaborazione. Inoltre, pensiero comune tra i giovani, è che chi svolge volontariato generalmente fa parte o simpatizza per specifiche associazioni (gruppo scout, Protezione Civile, Caritas, Croce Rossa, Lega Ambiente, ecc.) preposte a svolgere molteplici servizi lì dove serve aiuto, in situazioni di difficoltà, di calamità naturali o di necessità momentanea.

Coloro che agiscono in queste circostanze si muovono spinti solo dal bisogno di rendersi utili agli altri, in una società spesso poco attenta verso chi soffre o necessita di attenzioni e di aiuti concreti. I piccoli gesti di altruismo quotidiano gratificano, rendono grande chi li compie e sicuramente possono contribuire a rendere migliore la nostra società.

 

 

Chi si accosta al volontariato (e lo affermo per esperienza diretta), attraverso esperienze forti di servizio e solidarietà, scopre e sperimenta davvero cosa significa vivere con gli altri e per gli altri. E’ un’esperienza formativa a 360 gradi perché aiuta a vincere la paura di non essere all’altezza di determinate situazioni e di non potersi sentire utile.

E’ chiaro che occorrerebbe iniziare a sensibilizzare i giovani fin da subito: nelle scuole, presentando le diverse associazioni di volontariato ed i loro programmi e facendo vivere ai ragazzi esperienze dirette; nelle parrocchie o negli oratori di quartiere attraverso dibattiti con testimonianze di volontari che operano quotidianamente offrendo aiuto a chi ne ha bisogno. Infine parlandone in famiglia, stimolando i ragazzi a mettere a disposizione degli altri un po’ del loro tempo, a sperimentare ciò che possono fare, anche seguendo le proprie attitudini, per sentirsi utili.

E’ così che possono formarsi cittadini responsabili e capaci di dare una testimonianza concreta di sensibilità e solidarietà.