Finisce con la cerimonia di chiusura delle Paralimpiadi la mia avventura cinese. 40 giorni in Cina. O meglio nella “BIG BABOL”, Bejing 2022.
Credo sia più appropriata la storpiatura “babol” della parola inglese “bubble” per indicare la Bolla Olimpica. E’ il mio omaggio alle gomme da masticare della Perfetti, morbide e succose, tanto gradite alla sottoscritta e alla mia generazione anni Ottanta e Novanta in Italia perchè facili da masticare e con cui fare enormi palloni. L’abilità era fare in modo che le bolle non scoppiassero appiccicandosi al viso. Era questo il divertimento! Vi chiederete cosa c’entri con la Bolla Olimpica di Pechino e perchè usare la parola italianizzata, babol!

Proprio come la mitica gomma da masticare, la prima tra l’altro tutta italiana, anche l’area circolare delle Olimpiadi, fatta a sua volta di tanti piccoli anelli, ha avuto la capacità di gonfiarsi e dilatarsi fino a una distanza di 200 km, comprendendo la città di Pechino e due località montane nell’interno della Cina rurale. Il Comitato olimpico cinese ha messo in campo ogni sforzo e capacità affinchè la Bolla tenesse. Sempre e in ogni momento, per separarla dalla vita della capitale, proteggendo i suoi abitanti da un potenziale contagio e mantenendo allo stesso tempo l’ordine e il buon funzionamento all’interno del villaggio olimpico. La bolla è stato un mondo dove la notte e il giorno si sono fusi per 40 giorni.

Qualcuno dice che sembra di aver vissuto nel fumetto cinese, “Wangpai Yushi'”. Gli incaricati del controllo della bolla sono stati un po’ come i protagonisti del cartone, che in un mondo fantasy, sono gli agenti di supervisione della sicurezza con la responsabilità di mantenere la pace e l’armonia. Ho scoperto che in Cina il fumetto si chiama mànhuà. All’inizio era un piccolo libricino tascabile usato anche per fare propaganda ma con Mao, tra il 1966 e 1976, il grande capitolo della Rivoluzione Culturale, c’è stata una battuta d’arresto. Solo con la sua morte, questa forma di narrazione visiva ha avuto una nuova rifioritura, prendendo qualcosa in prestito anche dal più conosciuto manga giapponese.

Ammetto che non è stato sempre facile: stare in luoghi chiusi e muoversi solo attraverso percorsi preferenziali e dedicati. Siamo stati veramente all’aperto solo quando abbiamo raggiunto i luoghi dove si sono svolte le gare sciistiche. Ma con la mascherina ben incollata sulla bocca. Non ha mai piovuto. L’eccezione è stata la neve all’inizio delle Olimpiadi, una vera manna bianca di 15 cm piovuta dal cielo che ha messo a tacere le polemiche sugli impianti per le gare, costruiti sulla montagna brulla di Pechino, dove nevica pochissimo. L’inquinamento ha gettato la sua fuliggine solo alla fine del mio soggiorno confinato, sporcando di grigio l’orizzonte.

Eppure la Cina, anche se è uno dei Paesi più inquinati al mondo, si è lanciata negli ultimi decenni in un’opera verde ed eco- sostenibile che si è fatta sentire anche nella realizzazione delle Olimpiadi. Sono stati usati materiali riciclabili, impianti fotovoltaici e le nuove tecnologie con la robotica tanto popolare durante le Olimpiadi. A mensa il robot barman, in albergo l’omino cibernetico che sputava disinfettante invitandoti a lasciarlo passare perchè intento a lavorare per la salute di tutti. In Cina tutto funziona con un’app, basta un download e si fa tutto con il qrcode. Dai pagamenti ai trasporti.

Il vero tallone d’Achille, secondo me, è che nel Paese del Dragone non sono riuscita a nutrirmi. Se solo metto in bocca uno spicchio d’aglio, una foglia di cipolla o scalogno, rischio la morte certa. Sto parlando dell’intera famiglia delle Amaryllidaceae, erbe apprezzate in tutto il mondo e in particolare in Cina, che invece sono letali per me. La cucina cinese è molto speziata ed è tutta intrisa di aglio. Cotto, bollito, tritato, polverizzato, usato per insaporire, per marinare qualunque pietanza.

Devo essere sembrata un’aliena ai Cinesi che non capivano proprio quale fosse il mio problema. Mi hanno suggerito premurosi i rimedi della medicina tradizionale cinese che proverò in futuro quando il Paese riaprirà le frontiere e quando sarà finito il regime di quarantena per chi arriva dall’estero. In attesa che il mio Yin e Yan facciano pace in futuro, ho preferito, in questi 40 giorni, mangiare solo riso bianco e tante merendine cinesi, che sono state un regalo provvidenziale dello sponsor delle Olimpiadi. Nella bolla non c’erano negozi o supermercati dove poter comprare della frutta, dei banalissimi crackers, del formaggio.

Ho sognato il vecchio alimentari del signor Camillo sotto casa dei miei genitori, con gli scaffali pieni di tante cose buone. Nel villaggio non c’erano inoltre negozi dove poter fare shopping che avrebbe di certo fatto bene all’umore. Gli unici acquisti consentiti erano i gadget olimpici, tra cui la mascotte olimpica, il panda di ghiaccio di nome Bin Dun Dun che è andato subito a ruba. Finite le scorte del simpatico pupazzetto, gli organizzatori per accontentare tutti gli abitanti olimpici, hanno contingentato l’acquisto. L’accredito ai Giochi dava diritto a un solo esemplare di Bing Dun Dun.

On line il tempo di consegna è oggi di un mese. Io ci ho rinunciato. Qualcuno si è messo pazientemente in coda come vedete nel video del collega Mario Nobile. Il villaggio olimpico e cosmopolita era incastonato nel cuore della città, ma allo stesso tempo separato dalla città e circondato dall’inedita muraglia cinese, fatta di transenne verdi con tanto di lucchetti per sprangare l’ingresso e l’uscita. Non c’è stato un giorno senza tampone, che è stato un forte condizionamento durante tutta la permanenza olimpica. Sul domani si pronunciava il responso del test giornaliero.


Ognuno di noi aveva un pass con un codice a barre, da far leggere a uno scanner. Il baffo verde, accompagnato da un sonoro e metallico grazie in cinese, è stato il tormentone in ogni senso delle Olimpiadi e l’ok a continuare l’avventura. Baffo verde quindi sul display= tampone negativo: “Per te le Olimpiadi continuano”. Altrimenti si finiva in isolamento. Così è stato per il presidente del Coni, Giovanni Malagò, risultato positivo, al suo arrivo a Pechino.
Giornalisti, atleti, delegazioni sportive, le squadre dei volontari, gli addetti ai lavori sono stati “together for a shared future”, come vuole lo slogan dei Giochi e lo stesso Xi Jiping, visto che è una frase di un suo famoso discorso.

La comunità olimpica ha usato treni ad alta velocità, pullman, navette, cabinovie in alta quota e un esercito di taxi olimpici, mezzi di trasporto avveniristici sanificati e disinfettati continuamente. Moderni e inclusivi anche per i portatori di handicap. Il treno allo stesso livello del binario, non come in Italia, che per salire a bordo, devi farti 2 gradoni trascinandoti le valigie. L’innovazione è il fiore all’occhiello del governo di Xi Jiping. Negli ultimi 40 anni la crescita economica, la costruzione di giganti infrastrutture hanno creato stabilità e un innalzamento della qualità della vita per tutti. Nella Cina di Xi, (lo dicono tutti) si vive meglio.

Nella Cina più interna, il Partito con le sue grandi opere, a volte con le sue cattedrali del deserto, ha portato lavoro e una vita migliore. Vi consiglio la lettura di un volume che ho trovato molto interessante perchè ti fa capire che la “Cina non è una sola” che poi è anche il titolo del libro di Filippo Santelli, che è stato corrispondente del quotidiano la Repubblica in Cina. La nuova consapevolezza economica ad ogni livello della società cinese ha fatto crescere gratitudine e persino un certo patriottismo.

Arrovellarsi per altre questioni più “liberali” non aiuta nessuno. Ma torniamo alla routine del villaggio olimpico: la lode va di sicuro alle migliaia di volontari. Quasi tutti studenti universitari, sono stati scelti per rappresentare l’ospitalità e l’accoglienza della Cina. Un’immagine vincente e che ha riscosso molta simpatia. Noi tutti abbiamo condiviso le mense, i punti di ristoro nel rispetto di regole draconiane che in alcune circostanze hanno dato vita a dei siparietti surreali.

Se l’apparecchio digitale per la temperatura registrava 37° era subito panico. Spiegare che si era semplicemente accaldati, serviva poco a tranquillizzare gli omini in bianco. Ti facevano aspettare qualche minuto per ripetere l’operazione. Con grande sollievo di tutti, quasi sempre la temperatura tornava nella norma. Merito anche dell’amuchina sul polso oppure la bottiglietta d’acqua fredda sulla fronte. Un piccolo trucco che ha salvato parecchie situazioni.

Non c’è stato nulla da fare però, quando dall’esterno, mi è arrivata una scatola di tè e dolcetti cinesi. La direzione dell’albergo ha bloccato l’accesso. Immaginate una bellissima confezione di una delle migliori gastronomie di Pechino requisita e buttata in un angolo della portineria! La direzione dell’hotel non si prendeva la responsabilità di far entrare del cibo e, sempre per le norme Covid, è stato impossibile rispedirla al mittente, la mia amica Chen ya che ringrazio per la sua gentilezza e la sua accoglienza. Il nostro tè è solo rimandato, cara Chen ya! La scatola comunque è rimasta in un angolo della hall, senza certezza sul suo futuro.

Tutti bravi quindi ma con poca iniziativa personale nel trovare una soluzione, se capitava un fuori programma. Ognuno aveva un compito preciso, parte di un sofisticato ingranaggio che faceva capo a una rigida gerarchia da rispettare. Se qualcosa faceva saltare il meccanismo, l’incaricato di un certo segmento non decideva e si rivolgeva a chi era più in alto nel comando, che a sua volta non si prendeva la responsabilità di risolvere in autonomia, rimandando all’ok del superiore.

Ma in questa lunga trafila, di passa parola e protocolli, l’emergenza non veniva risolta e il risultato era il caos. La macchina organizzativa nel collaudo pratico, qualche volta, ha fatto fatica. È quello che potrebbe essere successo nella città di Whuan all’inizio della pandemia. La verità è che, credo, si abbia paura di decidere perchè sulla bilancia dell’intraprendenza pesano sanzioni e punizioni per chi sbaglia. Questo sistema però ha anche dei vantaggi anche se l’iniziativa e la creatività sono,(potremmo dire), un tantino compresse.

Le regole sono Regole e vengono rispettate. In due parole: ordine e rigore oppure rigore e ordine. Non ho mai avuto timore di lasciare la mia borsa, anche per ore incustodita perchè sapevo essere vigile l’occhio delle telecamere sparse un po’ ovunque. Cinesi e partecipanti stranieri hanno seguito le disposizioni del Comitato olimpico cinese e sono stati così disciplinati da rendere questi Giochi, un esempio virtuoso di grande evento Covid free. Confesso che il personale degli alberghi, da chi lavora nelle cucine, alla mensa, dalla portineria, agli addetti alle pulizie, dalla sicurezza, ai militari, mi hanno davvero impressionato per il loro zelo.

Tutti molto coperti, grandi occhialoni, le mani guantate di lattice, si sono mossi come dei “ghostbusters”, fino all’ultimo istante, all’ultima eco, del finalissimo “goodbye” della cerimonia paralimpica di chiusura allo Stadio Nazionale di Pechino. Sono stati inflessibili acchiappafantasmi alla ricerca del virus. Hanno cercato tracce di coronavirus ripetutamente sui bagni, sui tavolini, sulle maniglie ma anche sui pulsanti dell’ascensore, nei luoghi più comuni o impensabili. Ovunque questi bravi operatori, aiutati da medici e infermieri, hanno respinto il virus fuori dalla bolla.

A Pechino, alla mia partenza il 13 marzo, c’erano solo 5 casi positivi. Una città di 20 milioni di abitanti che moltiplicata per quattro fa l’Italia. Ma per tornare alla vita normale chi ha lavorato nella e per la bolla olimpica dovrà fare 21 giorni di quarantena. Come mio marito che è rimasto in Cina per lavoro. Con l’invasione russa in Ucraina, l’orrore ha sconvolto anche i Giochi.

Sono stati esclusi gli atleti paralimpici russi mentre quelli ucraini hanno fatto il miracolo in gara. Con forza e coraggio hanno vinto per la loro patria sotto il fuoco russo. Sono state settimane faticose ma sono consapevole di aver vissuto un’Olimpiade unica e storica che ho condiviso con Marco e con il suo prezioso collega Anas, che ringrazio con tutto il cuore per la generosità ed amicizia.

Mi auguro che questa Olimpiade resti irripetibile, confinata nel suo genere, per il Covid, per la brutta vicenda del doping russo e per la guerra folle in Europa. Un ultimo pensiero è per Marco, il miglior “gianfu”, (marito in cinese) del mondo che è stato generosamente “fungian”. Cosa vuol dire, resti tra me e lui un piccolo segreto!
razie comunque Cina! Millenaria, avveniristica e per questo tutta da scoprire ancora! Xiè, xiè!