Il 9 gennaio 2020 l’OMS ha dichiarato che le autorità sanitarie cinesi hanno identificato un nuovo ceppo di coronavirus mai identificato prima nell’uomo: il 2019-nCoV. Il virus è associato a un focolaio di casi di polmonite registrati a partire dal 31 dicembre 2019 nella città di Wuhan, nella Cina centrale. Il 30 gennaio 2020, dopo la seconda riunione del Comitato di sicurezza, il Direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato il focolaio internazionale da nuovo coronavirus 2019-nCoV un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale.

E sempre il 30 gennaio, i primi due casi confermati in Italia. Due turisti cinesi in viaggio a Roma sono ora ricoverati all’ospedale Spallanzani nella capitale. L’Italia blocca i voli da e per la Cina. Ma non lasciamo che il nostro inconscio trasformi la paura del virus in paura dei cinesi. La nostra mente tende ad individuare “un nemico”. Si tratta di un meccanismo di proiezione all’esterno di ciò che ci spaventa e ci angoscia. Proiettiamo la nostra paura sull’altro: “Io ho paura di morire, il virus è nato in Cina, il virus mi può far morire, io ho paura dei cinesi”. Ma come nasce la psicosi che, troppe volte, non sappiamo controllare anche quando i dati di realtà raccontano una storia diversa rispetto a quella che percepisce la nostra mente? Per spiegare questo fenomeno è bene partire dal panico e dalla paura che sono emozioni negative travolgenti e ad alto rischio di contagio. Quando in un gruppo compare la paura o, ancora di più il panico, le persone tendono a imitare le azioni di chi hanno vicino. La paura affievolisce il ricorso al giudizio e provoca azioni immediate, non necessariamente finalizzate in modo funzionale. Le emozioni negative come le emozioni positive quando si è in un gruppo sono amplificate. La massa, infatti, favorisce l’attenuazione del giudizio e della responsabilità per cedere il posto a comportamenti collettivi spesso aggressivi e violenti. Sono note le reazioni di contagio e l’attenuazione della responsabilità nella massa: quando si è in gruppo ci si abbandona a comportamenti che in solitudine non troverebbero luogo.

Fin da neonati di fronte ad angosce molto forti mettiamo in atto meccanismi di difesa che ci proteggono da eventuali pericoli esterni. Tutto questo avviene in maniera del tutto inconsapevole. Ecco, quando si scatena un’angoscia molto forte – come può essere la paura della morte che sta creando la minaccia del Coronavirus – la nostra mente tende ad individuare “un nemico”. 

Ma c’è un dato di realtà, il focolaio del virus è la città di Wuhan nella regione dell’Hubei.
Sì, ma gli altri dati di realtà con cui bisogna fare i conti, per esempio, sono il numero dei decessi contenuti, il fatto che si siano manifestati pochi casi al di fuori della Cina. Non possiamo permettere che una paura si trasformi in psicosi. Perché se ci lasciamo controllare dalla paura tendiamo poi ad individuare come colpevole l’intera popolazione cinese. Li consideriamo un popolo pericoloso. E questo è assurdo e inaccettabile perché, a farci caso, è lo stesso e identico costrutto mentale e ragionamento che viene usato contro gli immigrati o che è stato usato per legittimare l’olocausto. Quando il meccanismo di proiezione diventa rigido e si individua essenzialmente nell’altro il pericolo si passa dall’assumere legittime precauzioni a sviluppare una vera e propria paranoia.

Bisogna considerare i dati di realtà. Essere oggettivi. Perché se non conteniamo la paura si innesca un meccanismo di cui non ci rendiamo conto. Da qui la psicosi da individuale può divenire collettiva. E se questo meccanismo si estende a livello sociale può diventare molto pericoloso.