Da piccola non ho mai amato i pagliacci. Non mi piacevano.
Doveva pensarla allo stesso modo Stephen King quando la sua mente affabulatrice ha trascinato i suoi lettori negli orrori del diabolico pagliaccio Pennywise. E’ così che la mia viscerale ritrosia davanti al travestimento del clown è diventata la paura negli occhi di un’adolescente. Oggi quella paura torna a imperlare di sudore la mia fronte matura. La parrucca è diventata la massa di riccioli biondi che Stefano Tura, nel suo romanzo “ Tu sei il prossimo”, fa indossare a Filippo il pagliaccio.
Se chiudo gli occhi vedo la piccola Anouk, legata e imbavagliata sul sedile della macchina. Mi sembra di sentirla piagnucolare. La bimba, come le altre, vuole solo tornare dalla sua mamma. Attraverso la scrittura “visiva” dell’autore tutto sembra così credibile.
La prima regola di un thriller, lo sa bene Stefano Tura, sta nel costruire una storia realistica. Niente di più verosimile e inquietante, quindi, di un pedofilo a piede libero e quattro bambine, tutte straniere, scomparse in quattro diverse località balneari dell’Emilia Romagna. Una vicenda oscura e irrisolta su cui cerca di far luce l’ispettore della Questura di Bologna, Alvaro Gerace, l’anti-eroe dei libri di Stefano Tura. Gerace è allergico alle regole, cinico, antisociale, tutte cose che fanno di lui un poliziotto leale, un poliziotto pulito che si interroga su cosa sia e dove sia “Il principio del male”, titolo tra l’altro dell’ultimo romanzo di Tura. E Filippo il pagliaccio è l’elemento noir costante, l’ orrore che fa da collante silenzioso al telaio di emozioni forti della storia che ora si sposta nella provincia inglese del Suffolk con una serie di omicidi violenti collegati all’ambiente della droga e della prostituzione.
Stefano Tura non tradisce i suoi inizi come cronista di nera e prende spunto dalla vicenda vera di Steven Writght, conosciuto come “lo strangolatore del Suffolk” tuttora all’ergastolo per aver ucciso nel 2006 sei prostitute. In questa caccia al serial killer si muove il detective Peter Mc Bride di Scotland Yard, nero, con un passato difficile nel ghetto di Moss Side, il “Bronx di Manchester” e di riscatto dalle gang giovanili. Un cane sciolto che conosce la legge della strada, oggi un poliziotto solitario che non ha padroni e con pochi amici. Tra questi l’ispettore Gerace a cui chiede aiuto per un caso irrisolto avvenuto un anno prima nella stessa contea. Una giovane coppia di italiani viene assalita in casa da un branco di uomini mascherati: Anna muore, uno squarcio sotto la gola, mentre Marco, nonostante i colpi alla testa e al volto, sopravvive al massacro e torna a Bologna.
Tocca a Gerace scoprire se c’è, nella sua città, un collegamento con gli altri omicidi nel Suffolk. Anche in questo caso lo scrittore si ispira a un fatto vero di cronaca del 2013: la morte nel Kent del giovanissimo Gioele Leotta, preso a calci e pugni, nella sua stanza, da tre ragazzi lituani. Tura, da anni, voce e volto dei fatti da Londra per milioni di Italiani, è un attento osservatore. “Il principio del male” fotografa, così, un’Inghilterra di provincia economicamente depressa e razzista, che si sente minacciata dall’immigrazione e dalla forza lavoro straniera.
Potremmo dire che il libro è stato quasi profetico sulla fuoriuscita del Regno Unito dall’Europa. Posso aggiungere, dal mio punto di vista, che nei suoi due ultimi romanzi l’autore concede una pennellata di romanticismo oscuro ai suoi personaggi. C’è un timbro di scrittura più introspettiva che ci fa conoscere meglio Gerace ma non così a fondo da capire l’abisso, “il buco nero”, delle sue inquietudini. Resta del velluto nero sul sentimento che Gerace prova per Clarissa di Natale, la collega, in prima linea con lui nelle indagini, già, sul caso delle bambine scomparse.
Tura ci descrive, poi, la rabbia di Mc Bride che non riesce a strapparsi di dosso il marchio del ghetto. Non c’è perdono e non c’è redenzione per lui nella società perbenista. Mc Bride incontra Jade, una giovane prostituta di cui si innamora. Si legano, così, le loro solitudini in un erotismo carnale che strappa le ombre e la paura. L’autore ci regala una nuova sensibilità in punta di penna. Questa inedita venatura emotiva mi piace davvero. Sarà perché le emozioni hanno sempre un loro chiaroscuro. E’ quel sommerso in cui l’ anima, a volte, rischia di perdersi e finire dannata. Stefano Tura è davvero poco borghese soprattutto quando descrive scene crude di violenza ma, con gli anni, la sua scrittura mi sembra più morbida con un registro narrativo più viscerale. Nei suoi libri scorre tutto sempre velocemente. Fluido come il sangue che si appiccica al terrore tanto che siamo forzati a chiederci se esista un confine tra la malvagità e la pazzia. L’autore sa raccontare l’orrore impietoso che sveste il pudore e scarnifica la dignità di chi subisce.
Ci descrive le pulsioni inconfessabili e gli istinti più bassi dell’ individuo quando scopre che il male può venire da fuori o da dentro…perchè come Tura stesso scrive: “Nulla è più oscuro dell’animo umano”…tanto quanto, aggiungo, la parrucca e la maschera di Filippo il pagliaccio, personaggio che ritroveremo nel nuovo romanzo, in uscita all’inizio del prossimo anno e con un titolo che è ancora mistero per noi lettori. Intanto Filippo il pagliaccio resta in ombra, ancora qualche mese, ma nell’abisso delle mie notti insonni, cari amici del Blog, vedo quel lieve movimento della sua bocca che accenna un sorriso…“di sangue”.
Ultimo consiglio: ho scritto questa recensione ascoltando una bellissima ballata degli Oasis, “I’m outta time”. Dedico questa canzone ad Alvaro Gerace, per quel suo modo sofferto di essere “fuori tempo” che lo rende unico.
Ed ora Libramente nell’interpretazione di “Tu sei il prossimo”.
Poi una pausa per dare voce al “Il principio del male”.