Ho avuto la fortuna di conoscere Teheran durante un viaggio fatto con mio marito.
Una visita di pochi giorni ma così incisiva tanto da ispirare un capitolo del mio libro. Avevo appena letto “Una psicoanalista a Teheran” di Gohar Homayounpour e anche nel mio romanzo la protagonista è proprio una psicoanalista.

Mi sono subito interrogata: una donna in Iran può svolgere liberamente una professione che entra in modo laico nella vita delle persone? L’autrice, Homayounpour, nasce a Parigi da genitori iraniani ma oggi vive a Teheran. Insegna al corso di Psicologia dell’ Università di Teheran.

E’ un’affermata psicoanalista. La risposta, quindi, alla mia domanda iniziale è chiaramente un “sì”. Homayoupour conferma: “E’ possibile fare il mio lavoro come in ogni parte del mondo perché il dolore e dolore ovunque”.

Mi sono poi chiesta? Questo libro ha un’identità sociale o politica? Rispondo con le parole dell’autrice: “Il libro presenta l’immagine radiografica della condizione umana in Iran e non è una fotografia degli iraniani a uso turistico”. Nel suo studio Homayoupour accoglie religiosi e laici, tradizionalisti e modernizzatori. Nel libro ci sono i racconti dei pazienti. Piccole vignette cliniche che fotografano la società e gli individui. E la narrazione ha una tale forza che toglie il velo a stereotipi e pregiudizi occidentali.

C’è l’ironia, l’omaggio a Milan Kundera, tradotto in farsi dal padre dell’autrice, e la fermezza della scrittrice contro chi spera che lei enfatizzi lo scontro tra le teorie di Freud sulla sessualità e l’etica islamica. Homayounpour dichiara: “Do la colpa a noi stessi che restiamo fissati all’immagine orientale riflessa negli occhi dell’Altro”. Sul lettino della psicoanalista le donne iraniane raccontano il loro mondo interiore e la loro solitudine. Emerge, inoltre, la visione persiana del mondo fatto di poesia e avvolto nel sogno. Non c’è folklore iraniano ma ci sono le storie.

Si scopre che i pazienti iraniani come quelli occidentali hanno sogni e segreti da analizzare. Nel libro non c’è conflitto tra culture ma, al contrario, un flusso continuo di pensieri e paure che sono universali. Di tutti. C’è, poi, il vissuto della scrittrice e il suo bisogno di tornare in patria e di sentirsi a casa. Il libro riceve la benedizione del maestro e regista iraniano Abbas Kiarostami.

L’autrice dedica il libro a due donne della famiglia “A Darya e Yassamine, perché sono quali sono”.
L’augurio che potremmo fare a ognuno di noi. Essere, semplicemente, noi stessi.

NEL LIBRO
Un caso vero sul lettino di Gohar Homayounpour.
Una donna affronta e supera il trauma del divorzio