“Voci di pace in un mondo di guerra”

Anche quest’anno ho avuto l’onore di partecipare alla Via Crucis al Colosseo.
Orazio Coclite e Giorgia Cardinaletti hanno letto le meditazioni.
Io sono stata la voce narrante delle 14 stazioni.
Ringrazio ancora una volta Orazio Coclite che mi ha scelta al suo fianco e ringrazio il Vaticano e la Rai per aver riconfermato la mia presenza.
In un momento così difficile, segnato dalla bufera della guerra, le meditazioni scritte dal Papa e dai suoi collaboratori, hanno raccolto le testimonianze di chi vive in trincea, di chi sperimenta la follia della violenza, di chi è tornato a casa colpito nel corpo e negli affetti, di chi ha conosciuto le torture, di chi è stato privato della dignità e della libertà.

La processione di questo venerdì santo al Colosseo, ha avuto momenti di forte intensità emotiva e di profonda condivisione. In preghiera sotto la Croce, in preghiera nella piazza all’esterno del Colosseo, come testimoni di fede da ogni parte del mondo. Migliaia di pellegrini stretti nel raccoglimento, vicini gli uni agli altri, nel buio della notte rischiarata solo dalla luce delle fiaccole. A casa, davanti alla televisione, milioni di persone hanno seguito il rito del venerdì santo in mondovisione. Quella sera ho provato una sensazione di totale estraniamento, complice la profondità delle testimonianze a cui Orazio e Giorgia hanno saputo dare voce, colore, anima. Complice il canto aulico del Coro della Sistina, complice quel senso di pace che insieme ai miei colleghi abbiamo avvertito fin da subito e che si è posato su ogni pietra, su ogni laterizio riempiendo tutto lo spazio del Colosseo.

Avevo provato una simile sensazione durante la pandemia, in occasione della Via Crucis in una Piazza San Pietro vuota e deserta: quella notte, il silenzio era diventato presenza. Avvertivo una forza rassicurante in quella piazza che avrebbe vinto sul virus. Avrebbe vinto per i credenti e per i non credenti. Quel “tutto andrà bene”, che tutti ostinatamente ci ripetevamo, quella sera per me aveva sostanza, potenza.
Lo scorso 7 aprile al Colosseo, la Via Crucis, la prima dopo la fine della pandemia, tocca un altro male: la guerra in Ucraina che dal febbraio 2022 scuote l’Occidente, nel mondo decine di conflitti aperti come quello in Terra Santa (una guerra che va avanti da decenni e che conta milioni di morti), le atrocità dei talebani che hanno ripreso il potere in Afghanistan, le guerriglie in Nigeria, in Myanmar, la ex Birmania, la guerra civile in Siria che in dieci anni ha ucciso migliaia di civili, i massacri in Etiopia sulla popolazione civile commessi dalle parti in campo, il governo etiope e i ribelli del Tigray che si contendono il Paese. Ci sono poi le storie di uomini, donne e bambini in fuga dall’odio, dalle torture. Ci sono i racconti dei sopravvissuti alle violenze degli scafisti. C’è la conta delle morti in mare dopo le traversate su gommoni lasciati alle correnti.



Nel mio cuore ci sono anche le lacrime delle donne iraniane, la protesta di un popolo contro il velo, le grida di chi è morto in nome della libertà.
Ho voluto fare questa piccola parentesi per spiegare come l’ultima Via Crucis abbia più che mai abbracciato le inquietudini, lo smarrimento, il dolore di questo tempo e si sia fatta carico di quel bisogno di pace che annulla ogni solitudine e che mette al riparo.
E quella sera al Colosseo, sotto una delle arcate in travertino dell’anfiteatro romano, mentre la croce guidava la processione all’interno, mi sono sentita pacificata, accanto ai miei colleghi Orazio e Giorgia, ai cantori della Sistina, ai tecnici Rai, ai prelati e ai pellegrini presenti.
Una notte che ha portato in grembo la pace per l’alba di un futuro migliore. Io ci credo!