
Se i cani potessero parlare, intendo la nostra lingua, ne sentiremmo delle belle.
Eppure i cani tra di loro parlano, credetemi. Comunicano con il corpo, con l’olfatto, con l’ugola. Il loro linguaggio non mente mai. E deve pensarla così anche Filippo Golia, inviato speciale del Tg2, soprattutto se il cane è Zelda MezzaCoda che diventa la protagonista dell’omonimo libro.
Nella campagna pugliese, tra uliveti e allevamenti di pecore, in questa natura assolata nasce Zelda, che narra in prima persona. “Persona”. Non c’è parola più vera e potente quando si parla di cani perché loro più che umani, sono sovrumani, creature celestiali a cui spetta un posto in Paradiso. Papa Francesco lo dice con chiarezza in un’udienza generale dedicata al tema della vita e della morte. Quindi a Golia non sarà sembrata poi così assurda l’idea di fare del racconto di Zelda un libro.

La trama è al sicuro tra le 60 pagine, rilegate nella forma di un piccolo quaderno. In copertina c’è la protagonista, Zelda, “un po’ golden retriever e un po’ maremmana”, disegnata da Valentina Marino che con le sue illustrazioni sui toni pastello blu e arancione, tra un capitolo e l’altro, dà forza visiva alla nostra immaginazione. Le prime pagine hanno l’intensità dei ricordi, della nostalgia dei primi mesi di vita, trascorsi felici con la mamma e gli altri cuccioli. “Musi umidi, leccate e passi incerti. Il latte non mancava e – confessa Zelda- confidavo di avere un posto nel mondo”, magari come cane da pastore, nonostante la mezza coda. Un pensiero che è anche di ognuno di noi, quando cresciamo e ci affacciamo al mondo. Quello che ci tocca in sorte, anche se è diverso dal nostro sentire, ci fa crescere . Zelda viene portata in un centro smistamento per trovatelli, fino all’incontro con la sua famiglia adottiva, la casa della piccola Luna. A lei con il suo pigiamino giallo, che ha il profumo dell’erba fresca e fiorellini lilla, ma se ne sta chiusa, oggi arrabbiata, nella sua stanza, Zelda dedica la sua storia.

E le scrive una bellissima lettera perché i cani e i bambini sanno capirsi subito. Sanno aiutarsi d’istinto, con forza, con generosità, usando il linguaggio del cuore che vince su tutto. Avreste mai immaginato una prova più difficile per i nostri bambini, come l’attraversare questi mesi, aridi di abbracci, lontani da chi amiamo, confinati nel silenzio, nel vuoto delle strade, con le scuole chiuse e con le mascherine al posto dei sorrisi? Mesi fatti di ”niente gas, niente polvere, niente sudori”. Crescere in questo periodo è un compito nuovo e sconosciuto. Zelda lo capisce piano, piano. Non c’è esperienza che possa raccontare questa pandemia, né la nostra, né dei nostri genitori e tantomeno dei nostri nonni. Si fanno i conti con nuove abitudini e divieti. Si devono imparare presto tante cose che non si possono più fare. Troppe regole, come quelle che affollano la nuova vita di Zelda in una grande città, in un appartamento, lontana dai prati e dalla libertà. E all’inizio le cose non le vanno troppo bene. Come si fa a starsene buona, quando durante una passeggiata con il capo famiglia, capita di trovarsi di fronte a un signore mascherato? E’ impossibile non affondare i denti nella mano dello sconosciuto, che ti vuole accarezzare a tutti i costi, ignorando che l’altro ha paura. “Una disgrazia per una cagnolina ancora in prova”.
La paura è una brutta cosa. Fa fare cose impensabili. Spesso non la si capisce. La si legge in modo sbagliato. La si confonde con altri sentimenti come la rabbia. La si scambia per cattiveria. E quando questo succede, a volte capita di mordere. Poi ci si sente tristi, ci si sente in colpa. Tutti ti allontanano e si ha voglia solo di scappare alla prima occasione. Per un attimo lo pensa anche Zelda. Ma non è così che deve andare. Il finale del racconto ci lascia con la speranza. Zelda ci rassicura con una piccola, grande verità che pennella di colore il buio di questo tempo. Mi viene in mente una frase di Saint Exupery.

L’autore de Il Piccolo Principe scrive: “Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano”. Fatta eccezione -aggiungo io- per i cani che sono grandi ma restano eterni bambini. E le lezioni più importanti sono proprio di quel tipo d’innocenza.
Ringrazio Filippo Golia per averci regalato una storia delicata come un acquarello, ma che insegna le cose del mondo con quella naturale leggerezza che porta il buon umore. Ringrazio Luna perché ha condiviso la lettera della sua Zelda. E una carezza di gratitudine a Zelda stessa, assicurandole che il suo posto nel mondo è esattamente quello di cui avevamo bisogno. Grazie!




