In occasione della giornata mondiale dei rifugiati, lo scorso 20 giugno Amnesty International (AI) in collaborazione con il centro americano EMK di Dhaka hanno organizzato una mostra di 160 disegni intitolata When I grow up eseguiti dai bambini Rohingya che si trovano nel campo profughi di Kutupalong in Bangladesh. Si stima che ad oggi ci siano circa 1.100.000 profughi Rohingya in Bangladesh di cui circa 500.000 sono bambini al di sotto dei 14 anni.

I Rohingya sono una minoranza musulmana dello stato di Rakhine nel nord-ovest del Myanmar dove hanno sempre vissuto pur essendo perseguitati per la loro etnia e religione e non avendo mai avuto pieno riconoscimento dei loro diritti e accesso alle infrastrutture scolastiche, sanitarie e civili come il resto degli abitanti del paese.

La mostra è stata allestita al termine di due giornate dedicate all’arte con i bambini Rohingya che, con l’aiuto di sei artisti bengalesi, hanno dato colore ai loro sogni da grandi.

Sono bambini che hanno vissuto traumi indicibili, che hanno visto i loro genitori essere torturati o uccisi davanti ai loro occhi o la casa dove abitavano bruciata dalle forze dell’ordine del governo.

Sono bambini che non hanno mai avuto pieno accesso a strutture scolastiche vere e proprie perchè, in quanto musulmani, non hanno mai avuto accesso alle scuole statali.

L’iniziativa When I grow up e la mostra fanno parte dell’iniziativa di AI per far si che la comunità locale ma soprattutto la comunità internazionale continuino a dare il loro sostegno ai progetti educativi a favore dei bambini Rohingya.

“L’istruzione non deve fare a pugni con i rimpatrii”, ha detto il responsabile di AI per il sud Asia Saad Hammadi. “Se il governo del Bangladesh fornisse a questi bambini un certificato scolastico basato sul curriculum standard che attesti le conoscenze acquisite, potrebbero in futuro diventare non un peso ma inserirsi e contribuire all’economia di qualsiasi paese in cui si trovino”.

Il governo del Bangladesh, pur garantendo loro accesso a forme di istruzione informali grazie al contributo di agenzie internazionali quali l’UNICEF e tante organizzazioni e iniziative locali, si sta adoperando per trovare soluzioni con il governo birmano per il loro rimpatrio che deve avvenire nel rispetto della loro dignità e dei loro diritti umani.

Nel frattempo i bambini sognano.

Sognano un giorno di poter ritornare a casa.

C’è chi vuole diventare pilota per riportare a casa in elicottero tutti i suoi amici, o chi preferisce fare lo stesso però in autobus o in macchina.

Molti vogliono diventare insegnanti per insegnare ai bambini i nomi delle verdure, l’alfabeto birmano, la matematica e le scienze. Alcuni sognano di diventare insegnanti perchè gli insegnanti “si vestono bene” e “sanno tante cose”.

C’è chi vuole prima imparare “tante cose” per poi diventare meccanico e aggiustare le macchine o “le case rotte”.

Tra le bambine ci sono molte che sognano di diventare sarte per “cucire tanti bei vestiti alla moda” per tutti gli altri bambini e chi vuole diventare come quel medico del campo “che ha curato il fratellino”.

Chi, pensando che forse dovrà passare ancora molti anni all’interno del campo, vuole diventare un “majhi” ovvero il capo-campo.

E c’è infine chi, come Ayatullah, che vuole diventare un metereologo.

“Se fossi stato un bravo metereologo”, scrive in fondo al suo disegno, “avrei potuto prevedere il temporale che ha ingrossato le acque del fiume dove mia mamma e i miei fratelli, nel tentativo di attraversarlo, sono annegati”.