So che fra poco Matilde busserà alla porta virtuale del computer e io non ho ancora preparato niente. Nonostante abbia avuto più di una settimana quasi libera da impegni, non sono riuscita a pensare a niente di concreto tanto meno buttar giù due righe. E’ sabato mattina e sono nel panico. Possibile che in questa città di sedici milioni di persone non succeda mai niente di cui valga la pena parlare? O forse succede, ma non me ne accorgo? Strano, dico, perchè fra giornali, apps sul telefonino, amici, parenti e colleghi che mi tengono informata, di solito non mi scappa niente. Eppure questo sabato sono nel buio più nero delle acque del Buriganga, dei quattro fiumi che attraversano Dhaka, quello più inquinato. 

Sfoglio il giornale. 

I soliti morti sulle strade, che ormai non fanno più notizia; il solito incendio in qualche slum di Dhaka, questa volta però senza vittime, complici i fuocherelli o le bombole a gas che usano per riscaldarsi. 

Ecco una notizia che fa scalpore. E’ arrivata una mini ondata di freddo che sta avvolgendo da qualche giorno tutto il paese, Dhaka compresa. Temperature al nord intorno ai nove gradi, quindici a Dhaka e ti sembra di gelare. Certo, abbiamo messo le scarpe chiuse, chi ce le ha, oppure i sandali con i calzini, la maglietta della salute e il berretto o la sciarpa allacciata in senso verticale intorno alla testa, già vi immagino con le braccia attorcigliate a pensare come si fa, eppure la sensazione è quella di trovarsi tra i ghiacci del polo nord. Una cinquantina di persone sono morte di freddo, ospedali pieni di pazienti, anziani e bambini soprattutto. Le case non hanno riscaldamento, i muri esterni non sono isolati e ci sono spifferi ovunque. Pensate quanto difficili sono questi giorni per chi abita in una casa di lamiera o sotto un nylon sui marciapiedi di Dhaka. Si sono letteralmente moltiplicate le bancarelle che ti vendono calzini, sciarpe, paraorecchi, berretti e anche … mutande da uomo, viste, ma purtroppo non documentate perchè mi vergognavo a fare la foto, su un marciapiede vicino a casa mia, il che mi fa pensare che d’estate siano un optional. 

Il natale è passato come sempre quasi innosservato se non fosse per la polizia di guardia alle entrate delle chiese; il capodanno passerà altrettanto innosservato salvo le feste per i ricconi in qualche hotel a cinque stelle, per gli altri vige il divieto di festeggiameti in luoghi pubblici e all’aperto che nessuno, ovviamente, rispetterà.

Giro pagina. 

A quanto pare l’aeroporto avrà un altro terminal, il terzo. I lavori sono stati inaugurati dalla nostra primo ministro proprio oggi e termineranno fra quattro anni, si spera questa volta senza gonfiarne i costi e rispettando la data di fine lavori. Finalmente avremo anche noi un aeroporto come si deve, con ben 115 check in, 12 ponti di imbarco, 16 nastri per i bagagli per accogliere i futuri passeggeri che da otto milioni l’anno passeranno, secondo le previsioni, a ben quattordici nel 2025. Si dice che la prima impressione sia quella più duratura e nel caso di città e paesi, spesso è l’aeroporto. Quello di Dhaka è stato costruito quarant’anni fa e non è mai stato rimodernato. Ci sono due uscite, la uno e la due, una per i voli verso l’Europa, l’altra per quelli verso il Giappone, l’Australia e la costa occidentale degli Stati Uniti. Non ci si può certo sbagliare. I bagni sono innavvicinabili e i bagagli arrivano con almeno un’ora di ritardo e a singhiozzo. Ovviamente come per tutti i grandi progetti infrastrutturali, ci dobbiamo appoggiare a consorzi stranieri. Per l’aeroporto vengono in nostro aiuto questa volta i giapponesi e i sud coreani. 

Giro di nuovo pagina. 

I Rohingya a quanto pare non se ne vogliono andare mentre Modi, il primo ministro indiano, con una controversa nuova legge, vuole concedere la cittadinanza alle minoranze provenienti da Bangladesh, Pakistan e Afghanistan solo però se i richiedenti non sono di religione musulmana. Sull’onda degli slogan a voi più noti di “l’Italia agli italiani” e “l’America  agli americani”, anche da queste parti c’è chi urla l’India agli indiani purchè di religione induista.

Continuano i messaggi di condoglianze per la morte di Sir Fazle Hasan Abed, il fondatore di BRAC, l’organizzazione non governativa nata nel 1972, subito dopo la fine della guerra di indipendenza del Bangladesh e diventata la più grande organizzazione al mondo di aiuto ai poveri, auto-finanziata per il 70% grazie ad una diversificazione delle attività dal settore finanziario (BRAC Bank) a quello scolastico BRAC university), dalle BRAC dairies (latte, formaggio, youghurt, burro, ecc. ) al tessile (Aarong) per citarne alcune. Un uomo che ha rivoluzionato il modo di elargire aiuti ai piu poveri, ascoltando le loro esigenze prima di tutto e poi cercando, il più delle volte con successo, di rispettarle. Un uomo dalla personalità immensa, conosciuto in tutto il mondo e l’unico Bengalese ad avere ricevuto la nomina a cavaliere dalla corona Britannica nel 2010, oltre ad innumerevoli altri premi internazionali. Messaggi di cordoglio, tra gli altri, da Bill e Hillary Clinton, Melinda e Bill Gates e da Abhijit Benarjee e Esther Duflo, le cui analisi sulle teorie economiche basate anche sulle attività di BRAC in Bangladesh e India hanno valso loro il premio nobel per l’economia qualche mese fa. 

Per finire un paio di belle notizie. 

Mia figlia piccola Lilia è risultata prima della sua classe e prima fra tutte le altre sezioni della sua scuola agli esami di fine anno. Felicissima, ha ritirato il premo: cinque libri, quattro per l’esploit accademico e il quinto per non aver mancato neanche un giorno di scuola. Questo non per vantarmi del suo successo ma solo per dirvi che in questo paese sono maniaci delle liste, delle graduatorie, dei premi dall’asilo fino all’università. Per chi frequenta la scuola con curriculum Bengalese, ci sono addirittura graduatorie regionali e nazionali con tanto di medaglie d’oro al merito che non servono in fondo a nulla se non a decorare il biglietto da visita del futuro dottore, ingegnere o accademico.

L’ultima notizia riguarda una persona che già conoscete perchè di lui avevo parlato in un post di circa un anno e mezzo fa che si intitolava ‘Il club delle zie’. Lì, vi avevo raccontato di un collega di mio marito e amico di famiglia che alla bella età di 44 anni non era ancora riuscito a trovare moglie. Ebbene, a quanto pare, le zie questa volta hanno fatto centro. Il nostro scapolo d’oro ha trovato moglie e convolerà a nozze il 15 gennaio prossimo. Mi ha sempre fatto un po’ sorridere il fatto che in tutti questi anni di affannosa ricerca nè lui nè la sua famiglia avessero mai perso la speranza di trovare/gli l’anima gemella e durante le decine e decine di interviste e appostamenti strategici non fosse mai sceso a compromessi; la voleva giovane, carina, istruita, nubile, di carnagione chiara, di buona e ricca famiglia, sia lui che lei hanno casa di proprietà a Dhaka, e senza difetti fisici evidenti e cosi l’ha trovata o meglio gliel’hanno trovata. Lui in questi giorni si trova a Bali, da solo, per quella che lui stesso ha definito l’ultima vacanza da scapolo. 

Ovviamento l’occhio indiscreto della sottoscritta vi farà il resoconto delle celebrazioni di nozze alle quali tra l’altro non vedo l’ora di partecipare perchè avranno luogo a Puran Dhaka, dove per un matrimonio non sono ancora mai andata. A Puran Dhaka, la parte vecchia della città, dove vivono i veri dhakaites, come la famiglia di origine dello sposo, le celebrazioni sono molto tradizionali, e vanno dalla preparazione di pietanze particolari fino ai fuochi d’artificio. Spero di non rimanere delusa visto che l’eccitazione per questo matrimonio probabilmente è andata scemando con gli anni e vista la reputazione dello sposo di essere un po’ tirchio.

Anche per questa settimana, Dhaka non mi ha tradita. Scavando, sotto sotto ha sempre qualcosa da dirmi.

Chiudo il giornale, pago la brodaglia stile americano che qui spacciano per caffè e che mi costa l’equivalente di due polli di medie dimensioni, metto il mio poncho di lana e abbandono a malincuore il caldo del café dove mi ero rifugiata a scrivere in attesa che mia figlia finisse la lezione. 

 

Arrivederci all’anno prossimo, che spero sia, per tutti voi, felice.