Mi piacciono le persone curiose, quelle che pongono e si pongono domande, che non si fermano alla superficie e che, sforzandosi e mettendosi in gioco, desiderano capire meglio le cose, anche a costo di esporsi a qualche brutta figura per via di domande banali e un po’ ovvie.
Apprezzo coloro i quali ricorrono allo strumento della domanda, a mio avviso il “chiedere per comprendere” è un segno di intelligenza e, se vogliamo anche, di rispetto verso l’altro, di umiltà; spesso dopo una domanda c’è anche l’autocritica, il rivedere la propria opinione e questo è un ulteriore segnale di sensibilità e di mente aperta.
Questo, naturalmente, non significa non avere le proprie convinzioni, magari anche ben salde e radicate; è piuttosto un sintomo di essere pronto alla novità, al cambiamento, alla sfida, essere in grado di fronteggiare senza paure e tentennamenti situazioni nuove che possono persino comportare difficoltà di adattamento e fatica.
Tanti anni fa partecipai ad un seminario aziendale che, suddiviso in momenti differenti, durò oltre due settimane; l’obiettivo era creare un gruppo di lavoro coeso, cosa non semplice visto che avevamo enormi problemi di condivisione degli obiettivi e di comunicazione interna.
Mi avvicinai a quell’esperienza in modo molto scettico, tanto più quando conobbi chi avrebbe dovuto coordinato i nostri incontri, un ultrasettantenne che non sorrideva mai.
Questa persona durante il nostro primo incontro fu estremamente chiara; ci disse che aveva bisogno di una partecipazione convinta, senza la quale non avrebbe avuto senso intraprendere il percorso.
Ricordo ancora quando con un’espressione molto seria ci disse “Se deciderete di partecipare con me soffrirete, vi provocherò del dolore, vi farò piangere”. “E che sarà mai?”, mi chiedevo, costui mi sembrava anche un po’ suonato e il mio scetticismo aumentava sempre più.
Per farla breve….è stata l’esperienza più sconvolgente e positiva della mia vita, ancora adesso a distanza di anni riconosco di aver tratto insegnamenti importanti da quegli incontri.
Anzitutto l’obiettivo fu ampiamente realizzato, al termine del seminario eravamo diventati un gruppo di 8 persone determinate, che si conoscevano tra loro molto meglio, che comprendevano le necessità dell’altro e si mettevano a disposizione per aiutarlo; eravamo diventati una vera squadra che si muoveva in modo convinto e coordinato e che godeva nel realizzare obiettivi finalmente condivisi.
Inoltre, ciascuno di noi, in quanto componente del gruppo, aveva ricevuto un proprio “regalo” personale che era la consapevolezza che un determinato problema non ha mai un unico modo di essere affrontato, è sufficiente spostarsi un po’ per rendersi conto che altri angoli visuali consentono di vedere il tutto in maniera diversa. Aver maturato questa consapevolezza o essersene riappropriati è stato un grande successo personale e tante volte ho fatto ricorso a questa “risorsa” che mi fu donata tanti anni fa.
Gli strumenti che servono per utilizzare questa consapevolezza interiore sono proprio le domande; come dicevo, porre anzitutto a se stesso ma anche agli altri delle domande per trovare o offrire delle soluzioni è un modo intelligente per analizzare un problema nel dettaglio, scegliere la soluzione più appropriata e, soprattutto, non avere rimpianti particolari in quanto hai fatto del tuo meglio per risolvere una situazione di disagio personale o condivisa con altri.