Questi sono i nomi in bengali di tre tra i piu grandi fiumi al mondo, e si trovano tutti qui, in Bangladesh; forse vi dicono poco o niente però se dico Gange e Brahmaputra il puzzle si ricompone, all’improvviso le vostre conoscenze geografiche si risvegliano e tirate un bel sospiro di sollievo.

Ma vederli sulla cartina dei vecchi libri di geografia delle scuole medie e solcarli per poi sedersi sulla riva ad ammirarli tutti e due allo stesso momento è ben altro. C’è un posto infatti in Bangladesh, per la verità neanche molto lontano da Dhaka, dove questi due grandi fiumi si incontrano per formarne un altro, il Meghna.

Questo posto si chiama Chandpur ed è dove vi porterò oggi.

Si parte da Sadarghat, il porto di Dhaka, da dove partono i traghetti che vanno a sud verso il delta e la baia del Bengala; uno dei posti più caotici della già caotica Dhaka; un pandemonio di suoni e attività: dalle sirene dei traghetti alle urla dei facchini con la tua valigia in testa, che si fanno largo tra una marea di gente che parte e arriva; bambini di strada che lì ci vivono, scaricatori di frutta e verdura.

Si percorre qualche chilometro per uscire da Dhaka e immettersi nel Gange che d’ora in poi chiamerò con il suo nome in Bengali: Padma, una parola di origine sanscrita che significa fiore di loto e viene comunemente associato nella mitologia indiana a Lakshmi, la dea della salute, fortuna e prosperità.

Si scende verso sud, le dimensioni del fiume sono impressionanti. Navighiamo nel mezzo, non si vede la riva del fiume nè a destra nè a sinistra. Scorre per circa 120 km a Sud di Dhaka fino a confluire con il Brahmaputra, d’ora in poi Jamuna, vicino a Chandpur (la vedete nella cartina). Da qui in poi diventerà il maestoso Meghna che quasi in linea dritta arriva fino al golfo del Bengala, insieme ad una miriade di altri fiumi che formano il Delta. E’ infatti il tipico fiume intrecciato, con numerosi canali che si dividono e combinano di nuovo. Solo il Meghna e le sue decine di canali occupano alla foce circa 40 km di litorale.

La nostra barca attracca a una strisciolina di terra, giusto nel mezzo della confluenza dei due fiumi. Si scende, si passeggia lungo la riva. Per me è come essere davanti all’oceano, tanto è vasto. Il colore delle acque si confonde con quello del cielo, nessuna differenza. Ma non siamo soli, c’è un andirivieni di barche (nouka in bengali) grandi e piccole, di legno, di metallo, più o meno colorate. Una piccola imbarcazione di legno (dinghy) ci chiede se siamo interessati ad andare un po’ al largo. Non è il caso, anche perchè le misure di sicurezza, tipo salvagenti, sono inesistenti. Eppure loro ci vanno, ci vivono ogni giorno sul fiume, pescano, trasportano merci e passeggeri più o meno ignari del pericolo.

Un pescatore ci spiega orgoglioso dove guardare per vedere la linea esatta dove i due fiumi si incontrano. In effetti la linea è ben visibile: le acque sono di due colori diversi. Ci spiega, rinsavito, che lì in mezzo, è pericoloso andarci per via delle correnti opposte che creano piccoli vortici. Ci spiega anche con rinnovato orgoglio che anche i pesci che vivono da una parte non oltrepassano la linea per andare dall’altra ma questo per un fatto di composizione dell’acqua, da un lato più dolce dall’altra più salata.

Verso sera si riparte, giusto in tempo per assistere ad un meraviglioso tramonto prima di entrare nuovamente a Dhaka.