Ho un cugino che per me è come un fratello: Stefano.
Siamo coetanei e insieme abbiamo fatto tante cose e vissuto tante esperienze, dai primi viaggi da soli, da adolescenti, alla confessione dei primi…interessamenti verso qualche ragazza, e poi gli studi, l’Università, le nostre passioni, i nostri matrimoni, la crescita dei nostri figli e così via.
Insomma un’amicizia vera, profonda e duratura.
Purtroppo non abbiamo vissuto a lungo nella stessa città perché all’età di 5 anni Stefano partì per Roma, dove il papà era stato trasferito per motivi di lavoro.
Tuttavia, almeno un paio di volte l’anno, riuscivamo a vederci; in occasione delle feste o delle vacanze estive la sua famiglia tornava a Foggia, nostra città natale, per trovare i nonni, noi e tutto il resto del nostro numeroso parentado (da buoni meridionali!), ma anche i miei genitori – quando potevano – organizzavano il viaggio a Roma con grande gioia di noi figli.
Una di quelle volte che, appunto, eravamo insieme a Roma, io e Stefano stavamo facendo un “gioco” decisamente pericoloso ma, all’età di 7 – 8 anni, non è che ce ne rendessimo pienamente conto: eravamo in camera sua e, sul davanzale della sua finestra, spruzzavamo dell’alcool con il quale scrivevamo frasi o facevamo delle figure per poi incendiare il tutto.
Ad un tratto, a causa probabilmente di qualche manovra poco attenta, prese fuoco l’intera bottiglia di alcool che cadde per terra cominciando a provocare un incendio tutto sommato ancora contenuto, almeno inizialmente; prese fuoco un tappeto ma, essendosi diffuso il liquido infiammabile un po’ in tutto il pavimento, il rischio che la situazione sfuggisse del tutto al nostro controllo era molto elevato.
Per farla breve, il principio di incendio fu spento abbastanza rapidamente (non ricordo se con l’aiuto di qualche adulto giunto in nostro supporto) mentre rammento perfettamente la “lavata di testa” che ci fecero mia madre e mia zia che, naturalmente, si erano prese un bello spavento (forse persino superiore a quello di noi incendiari).
Soprattutto, noi bambini temevamo l’arrivo di zio Franco, il papà di Stefano; era stato avvisato dell’episodio e sicuramente ce ne avrebbe dette di tutti i colori rientrato dal lavoro.
Quel giorno zio Franco tornò prima a casa; ci chiese semplicemente se avevamo compreso la sciocchezza che avevamo commesso e volle avere rassicurazioni circa il fatto che mai più ci saremmo messi a “giocare” in quel modo; poi, probabilmente perché si era reso conto che avevamo avuto sufficienti rimproveri, in maniera sorprendente disse “Bene, adesso andiamo allo Zoo!!!”.
Credo che l’insegnamento che trassi quel giorno sia stato particolarmente forte e convincente; finito il tempo della “punizione”, non era necessario continuare a rimproverarci, si poteva e si doveva voltare pagina, addirittura con un gesto che poteva sembrare un premio.
Quando ripenso a quell’episodio e a quel mio zio mi viene in mente questo; la maturità, l’equilibrio, l’essere consapevoli di quando è arrivato il momento di girare l’interruttore per riprendere un certo percorso di maggiore normalità.
E’ stato un insegnamento prezioso che cerco (non sempre con successo) di ricordare anche a me stesso nelle tante situazioni di stress, arrabbiature e delusioni varie che, bene o male, insieme a momenti di gioia e di soddisfazione, caratterizzano l’altalena di ciascuno di noi, la nostra vita.