Quel giorno di visita non si poteva entrare, se non uno alla volta. Rimasi seduta in sala di attesa per diverse ore.

Le porte erano chiuse ma del vetro riuscivo ad intravedere il passaggio dei medici, infermieri e parenti che entravano ed uscivano dalle stanze della terapia intensiva.
Non ero sola, vi erano infatti altri parenti, ciascuno con delle storie molto tristi. Mentre ero in quel grande androne dell’ospedale, mi si è avvicinata una signora che mi ha raccontato il motivo della sua presenza.
Era lì con un suo amico. I due erano in attesa di avere notizie di un loro amico di soli 23 anni. Il poveretto, la sera prima, era annegato in un fiume. La loro disperazione, la incominciai a vivere anche io, quasi dimenticandomi perché ero andata in quel posto tanto inconsolabile.
All’arrivo frettoloso dei genitori del ragazzo, le emozioni aumentarono a dismisura. Non posso dimenticare il pianto e le parole di quella mamma tanto giovane. Continuava a chiamare”Vita mia”.
Dopo poco, i genitori ebbero un breve colloquio con un medico. Quando il colloquio terminò i genitori erano sempre più smarriti. Purtroppo nessuno dei presenti riusciva a contenere il loro dolore. Forse un malore, una lite tra amici. Non si saprà mai cosa è accaduto quel giorno lungo il fiume. Una vita spezzata ad una età tanto giovane che ha lasciato tanto dolore anche a noi che eravamo in attesa di una rapida visita ai nostri cari. Noi, che abbiamo partecipato agli aggiornamenti medici sullo stato di salute del povero ragazzo.
Che esperienza scioccante quella che ho vissuto in quel triste androne, dove le storie si intrecciavano, dove si condividevano dolori e tante speranze.



