12 marzo 2020: Italia zona protetta. Protetta oggi da noi tutti contro il Coronavirus.

I correttivi iniziali del Governo, semplici avvertenze e disposizioni di buon senso sulle nostre abitudini, non sono serviti.
Mentre il Nord Italia veniva impacchettato come un sanatorio per contenere il contagio, il resto della Penisola ha fatto spallucce.

 

 

Da quando è iniziata l’era Covid-19 il nostro Paese ha peccato di umiltà. All’inizio abbiamo chiuso gli aeroporti alla Cina, focolaio dell’epidemia, cercando di contenere la mobilità, con l’ostinata convinzione di fare una mappatura dei contagi.
Ma l’operazione, annunciata con troppa fiducia, non ha funzionato. Dei 10.149 contagiati in Italia, le persone ancora positive sono 8514 e quelle guarite 1.004.
E 631 sono i morti. I malati in terapia intensiva sono 877. E il 5-7% che hanno contratto il virus ha meno di 30 anni.
Gli anziani sono i più esposti ma i giovani non sono immuni. L’Italia finisce subito dopo la Cina per numero dei contagi.

#restaacasa è lo slogan della nuova comunicazione per rallentare il virus.

L’unica medicina resta lo “zero contatti”.
Chiuse le scuole, le università, i teatri e i cinema, vietati gli assembramenti, la distanza di sicurezza di un metro e mezzo tra le singole persone sono le nuove disposizioni. Rigide e draconiane. I bar e i ristoranti sono aperti fino alle 18.00, ma l’ingresso è contingentato.
Pochi clienti all’interno e distanti. Aperte invece farmacie e supermercati, ma anche qui severe disposizioni per l’entrata.

 

 

Chiese chiuse. E così la piazza e la basilica di San Pietro. Si può uscire solo per motivi di lavoro, di necessità e di salute. Scatta l’autocertificazione e i controlli sugli spostamenti. Se si dichiara il falso, scatta la sanzione e il procedimento va nel penale.
“Non c’è più tempo” e “ognuno di noi deve fare la sua parte”, ha detto il premier Conte. Ma il bollettino dei malati non scende. E si invoca l’ennesima stretta: chiudere tutto. Sono in molti a credere che le mezze misure non servano. Salvo i servizi essenziali, chiudere tutto per 15 giorni.

Ora è il tempo della responsabilità personale e sociale. Lo dobbiamo a noi stessi e alle migliaia di medici, infermieri e Oss che stanno lavorando in queste ore di emergenze.
La foto dell’infermiera esausta che crolla stremata sulla tastiera del computer dopo i turni nel reparto covid-19 di un ospedale di Cremona, fa il giro del web e diventa il simbolo della forza e della volontà del nostro personale sanitario e delle donne in particolare in corsia contro il virus.
Gli infermieri non si risparmiano. Sui giornali e nei servizi televisivi li vediamo con il volto coperto dalla mascherina, i guanti e il camice monouso di plastica che fa da barriera ma si appiccica addosso. Corrono da una parte all’altra per aiutare e salvare.
Ma non bastano e si reclutano 5000 specialisti, 10.000 infermieri e 5000 operatori socio-sanitari. Un’iniezione massiccia di personale negli ospedali per far fronte al virus.

Ora è tempo di rigore e cambiamento nelle abitudini. Restiamo a casa ma reinventiamo il nostro tempo.
La lettura, la musica e i vecchi film possono essere una buona compagnia. Per fermare il Covid-19 che sta paralizzando il nostro Paese, bisogna interrompere il meccanismo di trasmissione del virus. Bisogna abbassare il tasso di replicabilità della malattia. Oggi un malato contagia almeno due persone. Dobbiamo arrivare al contagio zero. Questo è possibile solo limitando i contatti sociali.

La prova è Codogno, piccolo comune del lodigiano, focolaio del coronavirus in Italia e messo in quarantena. L’isolamento oggi fa registrare zero contagi. Un dato che invita alla responsabilità condivisa e alla speranza.

Insieme ce la possiamo fare!

Insieme possiamo proteggere noi e la nostra Italia!

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