Lo snack per eccellenza del Bangladesh, il re dello street food, un pacchetto di bontà che cancella differenze di ceto, reddito e istruzione, insomma chiamatelo come volete per me e per i restanti 159.999.999 abitanti del Bangladesh rimarrà solo e sempre JHAL MURI (jhal= piccante; muri= riso soffiato). Si trovano ovunque: all’uscita di scuola, nelle stazione dei treni e degli autobus, lungo il marciapiede. Vanno e vengono, si spostano, sgabello in spalla e ciotola di latta in testa.
Jhal muri è molto di più di un po’ di riso soffiato condito. Jhal muri rappresenta la cultura del Bangladesh, l’arte di sopravvivere con poco o niente e di fare di necessità un’arte. Sì, perchè il jhal muri wallah, cioè il signore che te lo prepara, è un maestro, come lo è chi dirige un’orchestra, chi con sapienza mescola i colori sulla tavolozza. Con la stessa maestria il nostro jhal muri wallah mescola gli ingredienti, dosa le porzioni, li mette nel suo vasetto di plastica o di latta ed è lì che avviene la magia. Con un bastoncino di legno li gira prima da una parte e poi dall’altra alla velocità della luce altrimenti il riso soffiato perde la croccantezza, si ammoscia e non è più buono. E una volta pronto deve essere mangiato alla stessa velocità per lo stesso motivo.
Jhal muri non è solo riso soffiato condito, in realtà il riso soffiato è solo uno dei tanti ingredienti. Come ogni street food che si rispetti, non esiste un’unica ricetta; molto dipende dal jhal muri wallah, il maestro, ma è bene aspettarsi almento questi ingredienti aggiuntivi: chanachur (un misto di noccioline tostate, lenticchie secche, ceci e vermicelli fritti); a questi vengono aggiunti una serie di ingredienti freschi, tagliati al momento in base al gusto del cliente ovvero pezzettini di pomodoro, cetriolo, peperoncino verde, foglie di coriandolo, scaglie di noce di cocco, cipolla, qualche goccia di limone, succo di tamarindo e l’immancabile olio di mostarda. Bello schifo direte voi e invece no.
Questo strano miscuglio culinare diventa un’esplosione di gusti: forte, pungente, aspro, piccante, speziato, inimitabile. Ma l’ingrediente magico che ancora non vi ho detto e che tiene tutto insieme si chiama ghugni: una purea di patate, ceci e garam masala, il miscuglio di spezie che fa da base alla maggior parte dei piatti della cucina bengalese e del nord dell’India composto da cardamomo, cumino, noce moscata, chiodi di garofano, alloro, pepe (nel video è quella cosa un po’ gialla che spunta dalla ciotola di metallo grande che fa da base a tutta l’impalcatura – consiglio: se vedete che la ciotola è mezza vuota, meglio non fidarsi, vuol dire che sono almeno due giorni che gira sotto il sole, se è piena fino all’orlo vuol dire che è fresco della mattina e vi potete fidare).
Il tutto condito da un po’ di olio di mostarda che viene tenuto in una piccola bottiglietta di plastica alla quale viene praticato per comodità un forellino cosi che il nostro jhal muri wallah non deve ogni volta aprirla. Ah, l’ingegno dei poveri!
Una volta che tutti gli ingredienti sono nella lattina magica, ha inizio lo spettacolo.
Ogni jhal muri wallah degno di questo nome, il maestro, l’artefice di tanta bontà ovviamente si darà delle arie, specie quando i destinatari sono persone straniere pronti a fargli le foto. Girerà e rigirerà il riso ad una velocità che vi farà temere che il tanto sospirato snack finisca per terra o che i pezzettini di pomodoro o cetriolo lanciati ad un’altezza inverosimile centrino effettivamente il vasetto di latta e non vadano invece a finire da qualche altra parte non ben identificata. Invece no, una volta addentato il primo boccone scopriere che tutto quello promesso effettivamente c’è. La poltiglia viene ora messa in una bustina di carta di giornale reciclata.
Sebbene qui si mangi tutto con le mani, jhal muri viene mangiato con l’aiuto di un altro pezzo di carta un po’ più rigido della bustina che tenete in mano e anch’esso rigorosamente reciclato, un bel biglietto da visita anzi metà biglietto da visita, per risparmiare.
Ecco, preparatevi adesso ad assistere ad un piccolo miracolo. Le strade di Dhaka, e chi ci è stato ve lo potrà confermare, sono assordanti: clackon a non finire, campanelli dei rickshaw, motori di autobus e macchine ma attorno al teatrino ambulante del nostro jhal muri wallah regna … il silenzio. Chi prima discuteva animatamente di questo o di quello, chi faveva adda con gli amici adesso tutti mangiano in religioso silenzio. Di fronte ad un pacchetto di jhal muri il Bengalese si zittisce.
E aspettatevi un’altra magia: per il prezzo super modico di 10 taka (circa 8 centesimi di euro) questo piccolo pacchetto di squisita bontà riesce a unire il ricco businessman con il bambino di strada, lo studente con la casalinga, il muratore del cantiere poco distante con l’autista in attesa che il padrone o la padrona abbia finito le commissioni. Insomma tutti, perchè 8 centesimi sono veramente niente a confronto di questo mini-pranzo che piace veramente a tutti. 8 centesimi che valgono un viaggio fino a Dhaka.
Se siete a New York andate a Jackson Heights, lo troverete lì, o a Southhall, Londra, ma sono sicura che se cercate bene, lo trovate o lo troverete tra breve anche a Roma. E quando vedrete il vostro jhal muri wallah ditegli cosi: dosh taka jhal muri dien to, jhal chara kintu!