Le strade di Dhaka sono in mano ai ragazzi.

Studenti della scuola secondaria stanno occupando le strade della capitale al suono di We want justice, we want safe roads, dopo che una settimana fa un autobus di una compagnia privata che operava tra l’altro senza autorizzazione e guidato da un autista senza patente è piombato su un gruppo di liceali che aspettavano l’autobus uccidendone due e ferendone altri sette.

E’ un movimento spontaneo, apolitico nato dalla rabbia per una situazione che è diventata insostenibile.

 

 

Sono in strada da una settimana non solo per chiedere giustizia per la morte dei loro coetanei ma con l’intenzione anche di fare ordine una volta per tutte sulle strade. Li trovi agli incroci e lungo le arterie principali di Dhaka a dirigere il traffico, chiedono la patente e i documenti di circolazione non solo agli autobus ma anche alle macchine private e ai motociclisti; fanno in modo che gli automobilisti rispettino le corsie, che i rickshaw viaggino tutti in fila sulla sinistra della strada senza cercare di infiltrarsi nelle corsie dedicate alle macchine ostruendone il flusso.

Stiamo assistendo ad una rivoluzione pacifica ma solida perchè questi ragazzi hanno in faccia una determinazione ferrea di chi vuole che i propri diritti vengano prima riconosciuti e poi rispettati.

Lo scorso anno sulle strade del Bangladesh sono morte 7000 persone in 5000 incidenti riportati. 16.000 persone sono rimaste temporaneamente o permanentemente disabili.

La maggior parte degli autisti di autobus e miniautobus circolano praticamente senza patente perchè quella che esibiscono è falsa. Le scuole guida sono poche e solamente nelle grandi città, danno una preparazione a dir poco ridicola (ho visto quando mio marito ha fatto la patente – nessuna teoria, nessuna spiegazione su come comportarsi agli incroci, rotonde, ecc.); chi vuole diventare autista impara dall’amico autista o da un parente che ha la macchina. Per frequentare la scuola guida bisogna avere almeno la quinta elementare e pagare le lezioni, requisiti che non hanno.

Da una settimana questi studenti si sono assunti la responsabilità di cambiare il modo di circolare a Dhaka, chiedono che gli autisti abbiano 18 anni, una patente e una formazione valida; chiedono ai proprietari degli autobus di assumere persone che abbiano questi requisiti, di porre termine al sistema di pagamento a corsa degli autobus (piu corse fai piu’ guadagni) e che questi siano in buone condizioni.

 

 

In una settimana hanno ottenuto quello che anni e anni di amministrazioni corrotte non sono riusciti a fare in realtà per mancanza di volontà e interessi personali. Basti pe”nsare che l’attuale ministro dei trasporti marittimi è anche il leader del sindacato degli autotrasportatori! Si è sempre opposto con tutta la sua forza e influenza politica a qualsiasi tentativo di cambiamento o rispetto delle regole che pur esistono ma non vengono applicate. Da giorni chiedono le sue dimissioni, che ovviamente non verranno. “Le mie dimissioni non serviranno a risolvere i problemi”, ha detto ai giornalisti, sorridendo. E’ vero, però manderebbero un chiaro segnale che il governo ha la volontà di cambiare, di dire basta al genocidio sulle strade. E forse questa decisione, se la nostra primo ministro avesse un po’ di lungimiranza, le porterebbe la vittoria alle elezioni del prossimo gennaio.

L’unica cosa confortante, incoraggiante e bella è vedere lo spirito di questi ragazzi che hanno deciso di cambiare una situazione dove chi di dovere ha fallito per anni e che mi ricorda sempre di piu’ lo spirito dei ragazzi americani di Parkland. Emulazione? Forse, ma se servirà a smuovere le acque, benvenga.

Bisogna sostenerli, incoraggiarli e apprezzarne il coraggio.

Scendere sulle strade di Dhaka a protestare non è cosa facile. Vuol dire andare contro un governo che di democratico, perche’ in realtà eletto dal popolo, ha solo il nome. Vuol dire scontrarsi con i cartelli mafiosi che regolano certi settori della società come per esempio quello dei trasporti. Si rischia di essere picchiati dalla polizia, sempre schierata dalla parte del govenro, di essere mandati in prigione, di finire sotto interrogatorio e torturati e che la tua famiglia venga minacciata.

Ma oggi, mentre la mia macchina veniva fermata da una ragazzina minuta, bagnata fradicia, a chiedere all’autista di mostrarle la patente, non ho pensato ad altro se non a quanto fossi orgogliosa. Ha ringraziato e gli ha detto con educazione di appoggiarla sul cruscotto cosi che fosse visibile da fuori. Sul viso la stessa ferrea determinazione dei suoi compagni che indicavano ai rickshaw di andare a sinistra e ai motociclisti di non zizzagare tra le macchine.

E mentre me ne stavo seduta in silenzio sul sedile posteriore con le lacrime agli occhi pensavo: non sono maleducati o aggressivi, non hanno manganelli o bastoni o armi; con la divisa della loro scuola e gli zaini in spalla, l’unica arma in loro possesso è questo incredibile coraggio di far arrivare a tutti il messaggio che le strade di Dhaka devono diventare più sicure.

Questi ragazzi, cresciuti per necessità da un giorno all’altro, stanno dimostrando agli adulti, ciechi e assopiti nell’abitudine che niente possa cambiare, che hanno ancora dentro di se’ la rabbia e la forza di ribellarsi conto le ingiustizie e di voler cambiare la società in cui vivono.