I miei Natali non sono mai stati un granchè. Niente tavolate con i parenti, niente luci o addobbi degni di nota in casa, niente tombola o recite di poesie imparate a scuola. Unica eccezione: l’albero, quelli sì, il pino più grande che c’era in giardino e facevo a gara con mia sorella per premere l’interruttore appena faceva buio.
Il mito di Babbo Natale per me è crollato quasi subito; avevo forse sei anni quando vidi mia madre la vigilia di Natale tirare fuori dall’armadio a muro, quello vicino al bagno dove nesssuno andava mai a curiosare perche’ c’erano solo le scarpe, i detersivi e le valige, un’enorme bambola. Si chiamava Corinne e ci ho giocato tantissimo nonostante fosse arrivata con una bugia.
Mi rifarò quando sarò grande, pensavo, quando avrò una famiglia mia e potrò decidere.
Il destino ha voluto che sposassi un musulmano e andassi a vivere in Bangladesh, un paese dove i cristiani sono meno dello 0.2 per cento. Una goccia in mezzo al mare. Questo vuol dire essere circondati da persone a cui il Natale non dice niente o non sanno addirittura cosa si festeggia il giorno di Natale. Conoscono magari Babbo Natale perchè lo hanno visto in TV o al supermercato, vicino al banco delle offerte natalizie. O magari lo confondono con il signore che campeggia all’entrata di KFC, anche lui vestito di rosso e con una bella barba bianca. O sarà forse pechè qui Natale si dice Boro Din, ovvero grande giorno dei cristiani, che con l’etimologia della nascita non ha niente a che fare.
Non ci si accorge che è Natale in Bangladesh.
Non che non ci abbia provato, ci metto ogni anno un gran impegno, ma non è mai la stessa cosa. Manca l’atmosfera natalizia per le strade, la gente che entra ed esce dai negozi, il freddo, il camino acceso e quello stato d’animo contagioso di tutti di essere felici.
Certo, le scuole e gli uffici sono chiusi perchè il Bangladesh è un paese che vuole rispettare le varie religioni, ma solo il 25.
Certo, gli alberghi a cinque stelle organizzano i christmas party per i bambini, voglio dire per i figli dei ricchi. Il biglietto d’entrata costa sempre molto di più di quello che effettivamente meritano. Ci ho portato le mie due bimbe quando erano piccole, ma adesso anche loro hanno detto basta. Non ne possono più, sono noiosissimi.
Se sei fortunato vedi qualche casa tutta illuminata. Mi piace pensare che sia per Natale anche se so che è solo il segno che lì è in corso un matrimonio perchè l’inverno è la stagione dei matrimoni un po’ come maggio da noi. C’è una strada grande che attraversa Dhaka da sud a nord, si chiama VIP Road, anche lì gli alberelli spartitraffico sono illuminati, ma mi viene in mente che si è appena conclusa la visita di stato del primo ministro turco. Domani sarà tutto spento.
Come tutti gli altri giorni i mendicanti per la strada bussano al finestrino della macchina. “Allah è grande, Allah si ricorderà di lei nelle sue preghiere”. Abbasso il finestrino, “Oggi è Natale dico all’ignaro vecchietto che mi sorride e ringrazia con un cenno della mano rivolto verso l’alto anche se non ha capito niente.
Non mi resta che celebrare dentro casa, con la mia piccola famiglia, che è e rimane la cosa migliore.
E allora vai con gli addobbi. Abbiamo già un alberello, simile a un pino, non spelacchiato come quello di Roma ma ha i rami abbastanza radi e quindi bisogna riempirlo bene di luci perchè faccia la sua figura. Insisto sempre a comprarne uno vero, perchè quelli di plastica che si aprono ad ombrello sono una grande tristezza. Ci mancano degli addobbi. Vado, sempre scortata dalle mie bimbe, nel negozio vicino a casa, frequentato anche da stranieri, dove sono sicura di trovare qualcosa.
Cesto vuoto. “Ma come!”, “Sono finite, mi dicono e ne arriveranno di nuove. Natale non è il 25? Manca ancora qualche giorno”. Non ci resta che andare a Gulshan, il quartiere dove vivono i bengalesi ricchi, gli expats, cosi amano chiamarsi i bengalesi con la green card e gli stranieri, sì, quello dove un anno e mezzo fa hanno massacrato i nostri connazionali, lì, sono sicura di trovare qualcosa. Gulshan non delude mai. Lì c’è tutto, o quasi.
A casa l’albero è pronto, almeno quello. Ma non lo mettiamo davanti alla finestra, con la tenda tirata così che si possa vedere anche da fuori. È meglio non dara troppo nell’occhio. Non si sa mai. Lo mettiamo in mezzo al salotto, dove non ci sono finestre, tutto per noi.
Non ci resta che trovare un panettone e poi è veramente Natale.
Fino a qualche anno fa ci pensava mia mamma dall’Italia. Un pacco enorme giallo delle poste italiane. Mia mamma, per fare le cose in grande, ci mandava quello artigianale fatto dalla sua pasticceria di fiducia. Ma è successo che è arrivato rancido, un po’ per il lungo viaggio di quindici giorni e un po’ per il caldo. “La prossima volta mandami quello del supermercato” le dico “con i conservanti che dura fino a marzo”. Ma è successo che se lo sono mangiucchiato i topi del deposito delle poste centrali di Dhaka. Lasciamo perdere. E poi il costo dei pacchi è aumentato ultimamente in modo ridicolo.
Bisognerà mettersi in macchina, fare chilometri per scovare un panettone. Quest’anno mi viene in aiuto Facebook, che a volte, solo a volte però, è un vero toccasana. Un giorno mi compare non so come il video del direttore tedesco di un albergo a cinque stelle, “Vi hef different stallz” e …boom! Eccolo, un panettone, piccolo, ma sono sicura che è lui in mezzo agli omini di marzapane. Costerà uno sproposito, ma non importa.
Il pranzo speciale per noi quattro ci sarà, i biscotti speziati anche. C’è l’albero lontano dalla finestra e il panettone.
Anche quest’anno il Natale è salvo.
Buon Natale a tutti!