Oltre a chiaccherare, i bengalesi amano anche festeggiare. Che sia un’occasione religiosa – e ce ne sono tante tra musulmane, induiste, cristiane e buddiste – o laica, che si commemori l’inizio o la fine della guerra di indipendenza, insomma ogni occasione, felice o triste, è buona per uscire, darsi appuntamento all’universita’ di Dhaka, il centro di ogni manifestazione cittadina e specchio degli umori dell’intera città, per ballare, cantare, fare adda, andare ai concerti all’aperto.

 

 

Ma la cosa più bella di queste feste, soprattutto dal punto di vista di uno straniero o shada murghi (pollo bianco) che i bengalesi carinamente hanno affibiato a quelli come me, è che per ogni occasione esiste un codice di abbigliamento che per tradizione si deve rispettare: ovvero ogni celebrazione corrisponde ad un colore e di quel colore dovrà essere il vestito che si indosserà: sari per le donne e Panjabi per gli uomini.

 

 

 

E’ una tradizione bellissima e democratica perchè tutti la possono osservare, ricchi e poveri, giovani e vecchi. Esci di casa e noti che la città si è svegliata con una nuova luce. Vai a portare le bimbe a scuola e il personale, dalla preside, alle maestre e alle inservienti, sono vestite di quel colore; vai in banca e gli impiegati sono tutti colorati; cosi come le commesse del supermecato e i rickshawallah.

Le occasioni come queste sono quattro in un anno.

Cominciamo dalla prima, appena trascorsa.

Il 13 febbraio abbiamo festeggiato Pohela Falgun ovvero il primo (pohela) giorno del mese di falgun che segna l’inizio della primavera (boshonto). I colori, o meglio la combinazione di colori, per questo giorno è il giallo, l’arancione e il verde chiaro. Sono colori vivaci, solari, allegri per dare addio all’inverno e il benvenuto alla bella stagione. Sono i colori dei fiori che sbocciano in questo periodo.

 

La seconda in ordine cronologico cade il 21 febbraio, quando si celebra non solo qui in Bangladesh ma in tutto il mondo, il giorno della madrelingua dopo che l’UNESCO riconobbe nel 1999 la lotta del popolo Bengalese per ottenere il diritto di parlare in Bengali e non l’urdu come invece era stato loro imposto dal Pachistan, di cui facevano ancora parte.

 

 

Era il 21 febbraio 1952 quando la situazione si fece incandescente e ci furono i primi scontri con la polizia durante i quali morirono alcuni studenti dell’universita’ di Dhaka. Nel luogo dove sono morti è stato eretto un monumento (Shaheed minar) che è diventato il simbolo della lotta per avere il diritto di parlare nella propria madrelingua. I colori da indossare sono il bianco e il nero.

Da febbraio passiamo con un balzo al 14 aprile, il primo giorno del mese di boishak che segna l’inizio dell’anno secondo il calendario Bengalese. Come per il 21 febbraio, i festeggiamenti per il capodanno sono concentrati soprattutto all’interno del campus dell’università di Dhaka dove si svolge anche una bellissima e coloratissima sfilata di maschere tradizionali chiamata Mangal Shobhajatra, organizzata dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti e riconosciuta nel 2016 come patrimonio culturale dell’umanità da parte dell’UNESCO.

 

Ah, dimenticavo i colori di questa festa sono il bianco e il rosso.

Per il 16 dicembre invece è bene procurarsi un sari rosso e verde, i colori della bandiera del Bangladesh, perchè in questo giorno si festeggia la vittoria della guerra contro il Pachistan, scoppiata il 26 marzo, e l’inizio del Bangladesh indipendente. Il senso patriottico è molto forte in questo paese; i bengalesi sono molto sentimentali ed emotivi, i ricordi della guerra, in cui morirono 3 milioni di bengalesi, ancora freschi e dolorosi.