Addento una fetta della Tarte di Filomène. La torta con le mele della Normandia, dalla polpa succosa e croccante è ancora fumante quando arriva sulla tavola.
La mia bocca si riempie di crema alla vaniglia. Il dolce acidulo delle mele ebbre di Calvados è pungente, affilato e floreale come il profumo di questa acquavite che si ottiene dalla distillazione di sidro di mele.

– E’ abbastanza freddo il suo latte, Matilde? L’ho lasciato due minuti nel freezer, come mi ha chiesto. Filomène si affaccia dal tinello e mi guarda perplessa.
– Filomène, non riuscirà mai ad abituarsi, vero?
– Matilde, avrei potuto consigliarle un rosato della Loira, appena pastoso, oppure un vino leggero, fruttato ma sarebbe stato perfetto anche uno champagne demi-sec dal carattere suadente e perfetto con la crema, per non parlare poi del nostro Calvados che è anche un digestivo. Sa cos’è il buco normanno, vero?
– Filomène, cosa non farebbe per convincermi che quel bicchierino di acquavite è meglio del latte freddo per la sua torta?

Le faccio l’occhiolino mentre passo il dito sul vetro appannato del bicchiere. C’è una sottile pellicola di ghiaccio sulla superficie che si rompe non appena avvicino le labbra che si tingono di bianco.
– Sarà onesta, anche lei, nell’ammettere, Matilde, che il suo latte, per di più, quasi congelato, abbinato alla tarte normanna, sia una scelta bizzarra o quanto meno molto discutibile?, borbotta la vecchia governante, alzando le mani al cielo.

Il baffo di latte è il mio rituale sin da bambina. E’ cresciuto con me, non invecchiando mai. Mi ha sempre messo di buon umore. Mi ha sempre fatto credere che, in qualunque guaio mi fossi cacciata, avrei sempre trovato il modo di cavarmela, perché sarei sempre riuscita a nutrirmi di quel latte, anche se indurito sotto un velo di ghiaccio. Perchè quando qualcosa ci è indispensabile per stare bene, è buono in assoluto e vale sempre anche se significa scontentare qualcuno. Bisogna sempre tenerlo a mente.

– Grazie Filomène, la sua torta è buonissima, taglio corto e la donna capisce che è meglio cambiare argomento.
– Sono contenta che le piaccia. Il merito però è dei nostri meli, che producono litri e litri di sidro incolore, fatto invecchiare in fusti di quercia, fino a diventare quell’acquavite ambrata di cui sono imbevute le mele della mia tarte normanne. Dei 9 milioni di meli di tutta la Normandia, quelli che sua nonna ha piantato nell’arboretum del castello, sono i più belli. E fanno gola anche al reverendo Séraphin che da anni fa pressione sul dipartimento dell’Eure affinché la proprietà dell’arboretum passi alla chiesa.

Mia nonna Cecilia mi diceva che il melo selvatico della Normandia, presente in questa regione fin dall’epoca celtica, è considerato sacro. Veniva usato da quelle antiche popolazioni per realizzare le bacchette magiche dei saggi Druidi, gli antichi sacerdoti.
– Matilde, osservi la stella a cinque punte formate dai semi della mela!, Filomène stringe nel palmo la metà del frutto
– Rappresenta il sapere che rende liberi, che dona conoscenza e rivelazioni sul mondo conosciuto e su quelli sottili e invisibili. Lei è venuta qui per questo. Eppure sento della resistenza in lei.

– Ho paura, Filomène! La donna mi porge il frutto. Nella metà circolare la stella di semi, che spicca sulla polpa bianca. La mela è rossa di fuori, come il sangue ma bianca dentro come il latte.
– Lei dovrà scegliere, Matilde, se nutrirsi della conoscenza per salvarsi oppure lasciare che questa la divori fino alla distruzione. È questa l’unica legge!